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Cabotaggio: la clausola di salvaguardia può essere veramente una soluzione?

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Si parla tanto, forse troppo di cabotaggio, come se fosse la causa di tutti i mali dell’autotrasporto italiano. Ma purtroppo, come spesso avviene quando si forniscono letture semplificate, in molti le fanno proprie e si convincono della loro bontà. Ma è veramente così? Veramente ponendo un argine al cabotaggio attraverso una clausola di salvaguardia l’autotrasporto otterrebbe una salutare boccata di ossigeno?
Le risposte, volendo evitare approssimazioni, bisogna rinvenirle nella normativa di riferimento, che in questo caso è il regolamento 1072/2009. Leggendo tale normativa si scopre che lo Stato membro che intende adottare misure di salvaguardia deve preventivamente essere autorizzato dalla Commissione. E a questo scopo deve inviare a questa istituzione comunitaria tutte le informazioni utili per dimostrare l’esistenza di una grave turbativa del mercato dei trasporti. Va pure aggiunto, però, che se anche la Commissione si convincesse ad autorizzare la sospensione del cabotaggio nell’area interessata dalla turbativa, si tratterebbe in ogni caso di una misura temporanea, possibile per sei mesi ed eventualmente rinnovabile per altri sei. Insomma, si dovrebbero chiudere le frontiere per pochi mesi e poi tornare ad aprirle con un consistente dispendio burocratico, peraltro concentrato in un lasso di tempo molto breve.

Ma non è finita perché, come ci ha spiegato Clara Ricozzi, per lunghi anni direttrice del Dipartimento dei trasporti terrestri presso il ministero dei Trasporti, «in ogni caso, come dice espressamente la legge, lo Stato membro è tenuto, nell’ipotesi di accoglimento della richiesta da parte della Commissione, all’applicazione di misure di portata equivalente nei confronti dei vettori residenti. E questa non sembra una prospettiva edificante per le poche coraggiose imprese italiane che fanno attività internazionale nell’Unione europea e che magari fanno ricorso a qualche trasporto di cabotaggio nel Paese in cui vanno a scaricare».  

Ciò detto Ricozzi ritiene assolutamente improbabile una decisione della Commissione in tal senso, visto che in tanti anni di esistenza della normativa, di fatto non è stata mai adottata. «Ricordo in particolare – continua l’ex dirigente del ministero – che la richiesta formulata dalla Francia nel 2010, per di più relativa all’intero territorio nazionale, ha ricevuto risposta negativa per carenza di motivazione e di argomenti».

In conclusione, la richiesta da parte dell’Italia dell’applicazione di una clausola di salvaguardia dovrebbe passare attraverso:

  1. la preventiva realizzazione di un’indagine sul campo, che tenga conto anche dei rilievi statistici esistenti, spesso divergenti (come nel caso, per esempio, di quelli di fonte Camerale rispetto a quelli provenienti dal CED della Motorizzazione);
  2. lo sviluppo di un coerente dossier con cui accompagnare la richiesta;
  3. l’individuazione preventiva delle misure (da precisare nella richiesta di intervento portata alla Commissione) che si intendono adottare nei confronti dei vettori residenti nella regione interessata, valutando anche l’impatto rispetto agli altri vettori italiani eventualmente operanti nella medesima regione. 

E allora, se tutto questo è vero, siamo sicuri come paese di poter mettere insieme tali materiali? Perché se la risposta si prospetta negativa, come peraltro l’esperienza passata sembrerebbe confermare, tanto varrebbe non illudere le imprese.

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