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Cassazione: Per definire un tasso «usuraio» si calcolano «tutte» le spese sostenute

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Come si fa a definire usuraio un tasso di interesse? Per la Corte di Cassazione, con sentenza del 9 gennaio 2013 n. 350, la risposta non si deduce in maniera matematica dalla normativa in cui si stabilisce che la determinazione degli interessi va effettuata nel rispetto del tetto stabilito nel decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo la Suprema Corte, infatti, per classificare un interesse come usurario e quindi per determinare la soglia da non oltrepassare per renderlo tale, vanno presi in considerazione, oltre agli interessi, anche l’eventuale tasso di mora in caso di ritardo nei pagamenti, le commissioni e tutte le altre spese sostenute dal cliente della banca. Perché se questa somma dovesse andare oltre la determinazione stabilita dal ricordato decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze allora il contratto a cui è agganciato il pagamento degli interessi è nulla. Nella fattispecie decisa si trattava di un mutuo. Ma lo stesso principio può essere applicato anche a un finanziamento o un leasing.
Per giungere a tale conclusione la Cassazione chiama in causa l’art. 2 del decreto Legge 29 dicembre 2000, n. 394, secondo cui «Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento». L’inciso «a qualunque titolo» è quello che farebbe rientrare nel calcolo tutte le spese sostenute all’interno del rapporto di finanziamento, quindi non soltanto quelle calcolate a titolo di interessi sul capitale prestato.

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