L’accusa è pesante: estorsione e rimozione dolosa delle cautele finalizzate a prevenire gli infortuni sul lavoro. Tradotto in fatti, significa che tre imprenditori piacentini di 50, 69 e 71 anni, titolari di quattro aziende di autotrasporto, costringevano i propri autisti a viaggiare ben oltre gli orari di lavoro imposti dalla legge ricorrendo alla classica calamita per evitare di lasciare traccia nelle registrazioni dei tachigrafi. È questo il risultato di un’indagine condotta dalla procura di Piacenza che, dopo tre anni, è arrivata il 26 marzo a denunciare i tre imprenditori. A denunciare il tutto, in tempi diversi, sono stati quattro autisti. Il primo, di origine dell’Est Europa, raccontò circa tre anni fa di essersi opposto all’installazione della calamita e per questo di essere stato minacciato di licenziamento o di taglio della retribuzione.
Un secondo autista, di provenienza della stessa area del primo, riferì agli inquirenti di essere stato costretto, sempre sotto minaccia di allontanamento, a effettuare un viaggio durato complessivamente più di 15 ore.
Un terzo autista, invece, di origini marocchine, entrò nel dettaglio per esporre una “terribile” giornata in cui, dopo aver guidato per nove ore e avendo finito il tempo lavorativo, stava tornando verso casa quando fu intercettato da uno dei titolari che lo costrinse ad andare a caricare e a recarsi da Piacenza fino a Genova per poi tornare indietro.
In realtà dall’indagine emergevano sfruttamenti degli autisti anche più pesanti, tutti perpetrati – ha chiarito il sostituto procuratore Roberto Fontana – «facendo leva su una condizione di debolezza economica oggettiva». Perché gli agenti della polizia, per cercare di trovare riscontri alle testimonianze degli autisti, riuscirono a installare di nascosto dei GPS su una quarantina di veicoli del parco delle tre aziende coinvolte in modo da disporre così di una prova oggetiva del viaggio effettuato, dei chilometri percorsi e della velocità osservata. Ma soprattutto riuscivano anche a confrontare questi dati con quelli trovati presso la stessa azienda o che risultavano dalle strisciate dei tachigrafo. In questo modo non soltanto hanno appurato che esistevano discrepanze evidenti tra viaggi registrati e quelli effettivi, ma appuravano pure che gli autisti venivano costretti a superare la giornata lavorativa anche di 7-8 ore. In un caso addirittura una missione di trasporto è arrivata a oltrepassare le 17 ore. Tutti elementi su cui la procura ha basato l’accusa ai tre imprenditori piacentini.
Due dettagli finali: la procura non ha specificato il settore di attività delle aziende incriminate, ma si appurato comunque dal loro racconto che tendenzialmente i percorsi registrati dai gps erano per lo più tra Piacenza e Genova e tra Piacenza e La Spezia. Queste destinazioni portuali, quindi, lasciano presupporre (ma ovviamente si tratta di ipotesi) che il viaggio servisse a trasportare container.
L’altro dettaglio riguarda l’identità dei tre imprenditori: non è stata chiarita, ma si sa che tra loro ci sono dei rapporti di parentela.