Innanzi tutto, una precisazione: per l’onorevole Erika Mazzetti, membra della Commissione Ambiente alla Camera e responsabile del dipartimento Lavori Pubblici di Forza Italia incontrata a Verona a margine di una consegna di un camion elettrico MAN all’azienda Koinè della famiglia Toccafondi, «il Ponte sullo Stretto non è soltanto un collegamento tra Calabria e Sicilia, ma il tassello terminale di un corridoio europeo immaginato da Silvio Berlusconi venticinque anni fa: un’infrastruttura strategica che avrebbe dovuto unire la Sicilia al Nord Europa». «Quindi – puntualizza – visto in quest’ottica il ponte è fondamentale».
Nel frattempo, però, sono passati decenni. Le regole sono cambiate e anche il quadro europeo. «Non possiamo far finta che non esistano nuove normative, soprattutto in materia di concorrenza. Il problema principale, come segnala anche la Corte dei Conti, non è italiano ma europeo».
Il nodo dei vincoli europei
Il tema più spinoso riguarda proprio l’appalto originario, assegnato oltre vent’anni fa. «Bisogna verificare in modo certo se l’azienda che vinse allora sia ancora nelle condizioni per realizzare l’opera. L’Europa permette di procedere solo se il valore dell’appalto non aumenta di oltre il 50% rispetto all’aggiudicazione. Ma dopo tutto questo tempo – tra rincari di materiali e di energia – quel limite è stato ampiamente superato».
Serve quindi un parere giuridico-amministrativo del Ministero per capire come oltrepassare l’ostacolo. Una strada, però, che Mazzetti giudica complessa: «L’Europa ci ha dato indicazioni chiare, non facili da aggirare».
Le opere accessorie e gli espropri dimenticati
E poi c’è un altro aspetto spesso sottovalutato nel dibattito: «Il vero problema non è solo costruire il ponte, ma tutto ciò che gli sta intorno. Parliamo di circa mille espropri tra Calabria e Sicilia. Oggi bisogna demolire fabbricati che prima non esistevano e pagare non più terreni ma immobili. Non è un’attività che si fa in due giorni».
La soluzione? Una nuova gara europea
Se l’appalto originario non può essere recuperato, l’unica via è quella di ripartire da capo, vale a dire – chiarisce l’onorevole – «di passare da una gara europea. Anche io preferirei che a costruire il ponte fosse un’azienda italiana, ma le regole della concorrenza vanno rispettate. Non possiamo invocare il libero mercato solo quando ci fa comodo».
Il risultato? Tempi lunghi. «Parliamo di anni», ammette la deputata. E quando le si chiede se mai assisteremo all’inaugurazione, sorride: «Forse sì, ma di certo saremo un po’ più anziani».
Il rimpianto: «Se Monti non avesse bloccato il progetto…»
Mazzetti torna poi al momento in cui, secondo lei, tutto si è inceppato: «Il problema nasce con il governo Monti, che fermò l’opera quando il procedimento era ormai avviato. Se non fosse stato così ottuso, forse oggi il ponte ci sarebbe già. Io stessa, che la prossima settimana devo andare a Messina, non sarei costretta ad atterrare a Catania o Reggio Calabria per poi aggiungere un’ora di traghetto o un’ora e mezza di auto».
Oltre il ponte: una Sicilia con strade difficili
Se il ponte è una priorità, per Mazzetti lo è anche la Sicilia stessa: «Oggi le sue infrastrutture sono alla canna del gas, con tempi biblici di attraversamento. E non dimentichiamo l’impatto sanitario: chi deve curarsi a Milano deve prendere un volo e spesso per un viaggio di andata e ritorno servono almeno 500 euro».
Ma la Regione ha un potenziale enorme: «La Sicilia può diventare l’hub energetico del Mediterraneo, il ponte verso il Nord Africa per l’energia naturale. È una piattaforma strategica».
E quando parla di energia, la deputata di Forza Italia fa riferimento soprattutto all’idrogeno: «È fondamentale. In Puglia si stanno facendo grandi investimenti e lo stesso si può ripetere anche in Sicilia, che è vicina ai territori da cui arriverà l’idrogeno. Ma bisogna muoversi: negli ultimi venti anni le infrastrutture sono rimaste sostanzialmente al palo».
Un’Italia divisa in tre
L’analisi di Mazzetti a questo punto si allarga allo stato generale delle infrastrutture italiane: «Dopo l’alta velocità siamo rimasti fermi. Al Nord alcune strade sono state migliorate, ma dall’Emilia Romagna in giù la situazione cambia drasticamente. Non abbiamo nemmeno un collegamento veloce tra Tirreno e Adriatico».
Per la deputata, oggi l’Italia è spaccata in tre: «Il Nord è il motore economico, il Sud sta crescendo molto grazie a ZES e investimenti, ma il Centro è scomparso dai radar. È ormai l’area che soffre di più, una sorta di terzo mondo dell’Italia». E chiude con una considerazione personale: «Non è possibile che per andare da Prato alla Maremma, in uno dei territori più belli della penisola, si impieghi più di un’ora e mezza».


