Il Ponte sullo Stretto divide, stimola il dibattito e scalda i commenti. Anche Uomini e Trasporti ne è testimone: articoli, prese di posizione, un sondaggio tra i lettori, l’intervista all’onorevole Mazzetti e l’analisi della nuova cornice normativa hanno alimentato un confronto che, giorno dopo giorno, si fa sempre più acceso.
Ma cosa succede se il tema lo si guarda dalla Sicilia, non cioè dall’alto di un rendering o di un piano infrastrutturale nazionale, bensì dal punto di vista di chi sull’isola vive, lavora e movimenta merci ogni giorno?
A offrire una prospettiva netta è Luigi Nicosia, amministratore unico di DN Logistica, operatore radicato nel territorio e profondo conoscitore delle dinamiche logistiche siciliane. «Il ponte sarà anche una bella opera. Ma la Sicilia ha altre priorità. Urgenti. Drammaticamente urgenti».
Prima priorità: le strade, un’emergenza quotidiana
Per Nicosia il punto di partenza è semplice: la viabilità interna è al collasso. «Nel 2025 la Catania-Palermo si percorre in non meno di quattro ore. Deviazioni continue, ponti crollati, cantieri che sembrano eterni. È un colabrodo. E non credo ci siano grandi interessi che possano far cambiare in fretta le cose».
Poi c’è la Catania-Ragusa, una statale tristemente nota agli addetti ai lavori. «È talmente insicura che in molti la chiamano la “strada della morte”. E non è un’esagerazione giornalistica».
Il problema, sottolinea Nicosia, è anche strutturale: la Sicilia non è un territorio marginale. «Parliamo di una regione con più di cinque milioni di abitanti, a cui si sommano milioni di turisti per gran parte dell’anno (nel 2024, le presenze hanno raggiunto i 24 milioni, ndr). È inevitabile che tangenziali e assi urbani siano costantemente congestionati. Ma se a questo aggiungiamo infrastrutture vecchie e cantieri infiniti, il sistema esplode».
Seconda priorità: le infrastrutture di servizio (che non servono più)
La logistica non vive solo di strade. Vive anche di aree industriali e servizi. E qui, secondo Nicosia, la situazione è persino peggiore. «La zona industriale di Catania sembra un territorio di guerra. Buche ovunque, in alcuni casi autentiche voragini, strade dissestate, sistemi di scolo inesistenti. Quando piove, si allaga tutto».
Ma c’è di più. «Manca l’acqua. Al punto che anche noi ci siamo dovuti dotare di un’autocisterna per garantire l’operatività. È paradossale nel 2025, ma è così».
Un quadro che stride con qualsiasi discussione su grandi opere. «Prima di pensare a un ponte, bisognerebbe rendere funzionanti le infrastrutture che già esistono».
Terza priorità: la sanità, una ferita aperta
Il passaggio più duro dell’intervista riguarda la sanità, tema che per Nicosia non è astratto ma personale. «Non è possibile che i siciliani, nella seconda regione più popolata d’Italia, debbano andare per forza altrove per curarsi o, quando possibile, spendere di tasca propria per affrontare qualsiasi cura».
E qui racconta un episodio recente. «La settimana scorsa mia moglie aveva un forte dolore intestinale. Andiamo al pronto soccorso: era l’una e mezza. Ci dicono che prima di sei ore nessuno l’avrebbe visitata. Sei ore». A quel punto la scelta è stata obbligata. «Siamo andati in una struttura privata e per fortuna si è risolto tutto in poco tempo. Ma chi non può permetterselo cosa fa?».
La domanda diventa politica, ma resta concreta. «Prima di spendere tanti miliardi per una singola opera, perché non creare le condizioni affinché i siciliani possano curarsi a casa loro?».
Merci e collegamenti: il ponte non è la soluzione
E sul piano strettamente logistico? Qui Nicosia è netto. «Il traffico ro-ro da e per la Sicilia oggi funziona. Se ne fanno carico operatori come Grimaldi o GNV del gruppo MSC. È un sistema rodato».
I problemi, semmai, si possono trovare rispetto ad altre modalità, come la ferrovia e la strada. Ma Nicosia stabilisce un distinguo netto. «Il problema della ferrovia riguarda essenzialmente il tempo. E in effetti i treni non sono un sistema di collegamento affidabile da questo punto di vista. Però, io credo che semplicemente investendo 15 milioni di euro per due navi dedicate esclusivamente al trasbordo dei rotabili, vale a dire attrezzate a questo scopo, e facendole fare da spola una volta ogni due ore il problema sarebbe praticamente risolto».
Quanto alla strada, poi, forse il problema per Nicosia neppure esiste. «Noi la usiamo solo nell’1-2% delle missioni. E comunque anche quando optiamo per questa modalità, a Villa San Giovanni l’attesa è sostenibile: partenze programmate ogni 25 minuti. Il ponte, da questo punto di vista, non cambierebbe molto».
Una questione di prospettiva
Il punto, allora, non è essere “contro” il ponte in senso ideologico. «Se qualcuno lo giudica bello o utile, lo fa guardandolo da fuori. Non certo da una prospettiva siciliana».
Perché la Sicilia, oggi, è già martoriata dai cantieri. «Ce ne sono ovunque, dureranno anni. Se a questi si aggiungessero anche quelli del ponte, il rischio è il blocco totale». E soprattutto: anche se il ponte esistesse, non migliorerebbe le tre vere priorità dell’isola:
– una viabilità interna ridotta al collasso;
– infrastrutture di servizio indegne di una regione europea;
– una sanità che risponde con tempi talmente lunghi che – constata Nicosia – «nel frattempo, si fa in tempo a morire».
Il messaggio finale entra direttamente nel dibattito di Uomini e Trasporti. «Per chi fa logistica – è la conclusione dell’amministratore di DN Logistica – il ponte non è la leva che cambia le cose. Lo sono strade sicure, aree industriali funzionanti, servizi affidabili, ospedali efficienti. Senza queste basi, qualsiasi grande opera resta una vetrina».


