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Brexit sì, Brexit no, per il trasporto con il Regno Unito il futuro è sempre incerto

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La storia infinita della Brexit inglese, con l’incertezza sugli effettivi tempi di uscita dalla UE del colosso britannico e le dichiarazioni politiche contraddittorie del premier inglese Boris Johnson, sta contribuendo ad aumentare la confusione e le preoccupazionI delle aziende di trasporto e di logistica italiane.

Come è noto, l’ultimo colpo di scena nell’interminabile processo di divorzio tra Regno Unito e UE è di sabato scorso, quando è passato l’emendamento conservatore che ha bloccato, a un passo dal traguardo, l’accordo raggiunto con Bruxelles per l’exit. L’emendamento che vuole rimandare, contro la volontà del premier, la scadenza per la Brexit oltre il 31 ottobre è arrivato sul tavolo di Bruxelles e i responsabili UE sembrerebbero pronti a concedere una proroga a febbraio 2020, se Johnson non chiuderà l’accordo entro questa settimana.

È chiaro che una situazione di totale caos e insicurezza come l’attuale ha mandato in tilt le scelte della logistica europea e italiana, peraltro già in fibrillazione da tempo. Secondo gli ultimi dati Istat sull’interscambio, riportati dal Sole 24 Ore, per il terzo mese consecutivo da luglio la crescita tendenziale delle esportazioni italiane verso il Regno Unito ha registrato una variazione assai più favorevole rispetto a quella osservata verso gli altri Paesi UE. Nei primi 8 mesi del 2019 le esportazioni oltremanica sono cresciute su base annua del 7,6%, ovvero circa tre volte la media generale e del mercato unico (+2,6% verso mondo, +2% verso UE). Ciò si spiega con il fatto che, con l’avvicinarsi della Brexit, le aziende con sede nel Regno Unito stanno cercando di stoccare quanta più merce possibile nei loro magazzini, compresi quelli relativi ai prodotti made in Italy (mezzi di trasporto, farmaceutica, moda e beni alimentari).

Anche se tempi e modi sono ancora in bilico, la fine del libero scambio tra il Regno Unito e i partner europei sembra quindi ormai inevitabile. Secondo i nuovi profili tariffari rilasciati negli scorsi giorni dal dipartimento per il commercio internazionale britannico – spiega ancora Il Sole 24 Ore – 30 miliardi di importazioni da Germania, Francia, Spagna e Italia oggi libere subiranno dazi compresi tra il 2% e il 24%.

I settori più colpiti saranno agroalimentare, automotive e moda, ma è evidente che la catena logistico-trasportistica ha subìto e subirà in pieno gli effetti negativi di tutto il processo. Le aziende di trasporto che operano su scala internazionale, infatti, hanno dovuto far fronte all’impennata di richieste, con le conseguenti difficoltà, tra cui la cronica mancanza di autisti e la scarsa flessibilità delle imprese. Ma il peggio deve ancora venire ed è difficile stabilire a priori quali siano le giuste azioni da mettere in campo per proteggersi dallo ‘tsunami’ in arrivo.

Qualche indicazione l’ha data il Governo italiano, che ha istituito a Palazzo Chigi una task force per la Brexit. Poiché tra gli scenari possibili – anche se auspicabilmente non probabili – c’è anche quello di un recesso senza accordo, il cosiddetto “no deal”, il Governo intende garantire anche la gestione di emergenze relative ad alcuni ambiti settoriali, tra cui quelli di competenza del MIT, attraverso il documento redatto lo scorso luglio: «Prepararsi al recesso senza accordo del Regno Unito dall’Unione europea – Informazioni sulle conseguenze e sui preparativi allo scenario di una Brexit senza accordo di recesso».

Nel documento si legge che «se l’accordo di recesso non sarà ratificato, il trasporto di merci su strada tra l’UE e il Regno Unito subirà limitazioni e sarà assoggettato a un sistema internazionale di contingentamento. L’Unione europea ha adottato una misura atta ad assicurare i collegamenti di base, grazie alla quale gli operatori del Regno Unito saranno autorizzati in via temporanea a trasportare merci nell’Unione, ferma restando la reciprocità, vale a dire che il Regno Unito riconosca diritti equivalenti ai trasportatori di merci su strada dell’Unione, assicurando le condizioni per una concorrenza leale (regolamento UE 2019/501)».

Questo in attesa di un eventuale accordo bilaterale, previa verifica della disponibilità in tal senso del Regno Unito. al fine di assicurare la continuità dei trasporti merci su strada.

Ma non basta. Perderanno validità sul territorio UE le licenze di attività, i certificati di sicurezza e le patenti dei conducenti emessi dal Regno Unito. I soggetti che ne fossero in possesso dovranno assicurare quanto prima la compatibilità della documentazione con la normativa europea. Complicate anche le conseguenze per chi è in possesso di una patente di guida extracomunitaria (e quindi anche inglese se il Regno Unito non sarà più un Paese membro), che potrà condurre veicoli sul territorio italiano se non ha la residenza anagrafica in Italia ovvero solo per un anno dalla data in cui è stata acquisita detta residenza in Italia. La patente dovrà essere accompagnata dal “permesso (o patente) internazionale di guida”, che viene rilasciato dallo Stato che ha emesso la patente di guida stessa (in questo caso il Regno Unito), oppure da traduzione ufficiale in lingua italiana.

Per quanto concerne, invece, la conversione delle patenti di guida rilasciate nel Regno Unito, non sarà più possibile effettuarla una volta che quest’ultima non farà più parte della UE. Si potrà pertanto procedere alla conversione delle patenti di guida rilasciate dalle autorità britanniche solo previo accordo bilaterale che disciplini la materia, tra l’Italia e Regno Unito come nel caso di altri Paesi extracomunitari.

Con l’assenza di una base comune per i trasporti internazionali fra Regno Unito e Unione Europea, stante la mancanza di mutuo riconoscimento a operare per le imprese stabilite nei due mercati e la fine delle operazioni di cabotaggio stradale internazionale regolate dalle norme del Mercato Unico, terminerà insomma anche il mutuo riconoscimento delle qualifiche dei conducenti e della documentazione dei veicoli previsti dal Regno Unito nell’Unione Europea. Sarà quindi molto più difficile organizzare il trasporto stradale tra le isole britanniche e il continente (e la Repubblica d’Irlanda).

Ma tutto ciò – lo ripetiamo – vale nel caso di mancanza di un accordo. Se invece l’accordo si trovasse la situazione sarebbe un po’ più gestibile, ma gli ostacoli non mancherebbero, come per esempio la gestione dei dati sensibili e della privacy, l’applicazione di dazi doganali, l’inclusione di nuove direttive sulla gestione delle spedizioni ed eventuali nuove tipologie di controlli alle frontiere.

Non resta perciò che attendere gli eventi per cercare di districare l’ingarbugliatissima matassa della Brexit.

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