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Chiedevano soldi ai trasportatori in cambio delle multe: arrestati sei agenti della stradale

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Brutto episodio di corruzione a Taranto. Sei poliziotti della Polstrada sono stati arrestati – attualmente sono agli arresti domiciliari – perché scoperti a chiedere soldi ad autotrasportatori non in regola che avrebbero dovuto essere multati per violazioni del Codice della Strada, ma che invece venivano “graziati” dai rappresentanti della legge in cambio di mazzette. Gli agenti sono stati fermati dai colleghi della Squadra Mobile della Questura di Taranto, su richiesta del giudice per le indagini preliminari, Paola Incalza, e del sostituto procuratore, Maurizio Carbone.

L’accusa specifica è di induzione indebita. Secondo l’accusa, i poliziotti, nel corso della loro attività di controllo della circolazione stradale, avevano convinto alcuni conducenti di veicoli pesanti a dare loro somme di denaro non dovute, evitando in cambio di elevare verbali di contestazione per violazioni al CdS. Anche gli autotrasportatori sono indagati per il medesimo reato o per avere promesso o dato denaro o altri beni, anche se non su loro iniziativa.

L’indagine è partita per una telefonata anonima alla sala operativa della Questura tarantina. Un ignoto segnalava la presenza sulla statale 100, in direzione di Bari, di un equipaggio della Polstrada intento a caricare nel bagagliaio dell’auto di servizio (ferma a fari spenti sul ciglio della strada) alcune casse di pesce, prelevate dall’interno di un furgone bloccato per un controllo.

La Squadra Mobile ha deciso di mettere sotto osservazione gli agenti, rilevando così e videoregistrando, in almeno due occasioni, la consegna di banconote da parte di conducenti di camion sottoposti a controllo dall’equipaggio sospettato. Le intercettazioni nelle auto di servizio, con microfoni installati, hanno poi consentito di registrare anche i commenti scambiati tra gli indagati sia durante i controlli che dopo la partenza dei conducenti dei veicoli ispezionati. Da questi emergevano riferimenti a violazioni dei camionisti, ma senza che seguisse alcuna compilazione di contravvenzione o l’inserimento dei nomi dei conducenti e dei dati identificativi dei veicoli nelle schede di controllo.

La cosa paradossale è che gli indagati erano venuti a conoscenza delle indagini su di loro, avendo scoperto le microspie all’interno delle vetture di servizio, e avevano cercato di addossare la responsabilità della denuncia a loro carico ai vertici del loro ufficio di appartenenza e della Questura. Ma incredibilmente non si erano fermati e avevano ripetuto gli episodi di corruzione, pur con maggiori cautele. A questo punto non è rimasta altra soluzione che applicare gli arresti domiciliari agli indagati per evitare inquinamento probatorio e ripetizione dei reati.

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