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Corte Costituzionale: «I costi minimi sono legittimi». E Genedani chiede il ripristino dell’art. 83 bis

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I costi minimi della sicurezza, tanto osteggiati dalla committenza e da alcuni tribunali, sono pienamente legittimi e conformi al dettato della Costituzione. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con sentenza n. 47 del 2 marzo 2018, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Per giungere a una tale conclusione la Corte ha valutato che «i costi minimi determinati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti costituiscono, nel disegno del legislatore, un limite al di sotto del quale potrebbero venire compromessi i livelli di sicurezza nella circolazione stradale, in virtù di uno sfruttamento eccessivo delle risorse umane e materiali da parte delle imprese di trasporto». Poi, è chiaro – ammette la Corte – che la sicurezza stradale trovi maggior tutela nelle disposizioni in materia di circolazione e nelle relative sanzioni, ma ciò non esclude che il legislatore possa perseguire tale obiettivo anche «attraverso un sistema tariffario che eviti un’attività d’impresa che potrebbe portare all’adozione di comportamenti poco compatibili con la sicurezza stradale». D’altra parte la disciplina introdotta dall’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008 questo fa: prevede «corrispettivi minimi basati su costi incomprimibili ed essenziali» e quindi «lascia alle parti una maggiore autonomia negoziale rispetto alle tariffe a forcella», ponendo delle limitazioni «all’iniziativa economica privata che appaiono ragionevoli e proporzionate e compatibili con i principi costituzionali».

Qualcuno a questo punto potrebbe obiettare che stiamo parlando di archeologia giuridica, visto che i costi minimi non esistono più. Per la precisione sono stati abrogati con la legge n. 190 del 2014. Argomento al quale replicare ricordando che, dopo la bocciatura dei costi minimi da parte della Corte di Giustizia europea, è scattata il contrattacco della committenza, di quella cioè che, dopo aver subito il reintegro da parte di molti trasportatori, pagati con tariffe inferiori ai costi minimi, ha intentato causa per recuperare queste maggiori somme versate. E molti giudici le hanno anche dato ragione. Adesso, però, con questa sentenza che dice non soltanto che i costi minimi sono legittimi, ma ricorda pure che esistono molti giudizi pendenti basati su contratti di trasporto conclusi prima della legge n. 190 del 2014 e ai quali quindi si applica la normativa contenuta nell’art. 83 bis, le cose cambiano. Nel senso cioè che proprio questi giudizi pendenti potrebbero essere influenzati, a questo punto, dalla decisione della Corte Costituzionale.
Ma questa non è che la prima e più importante conseguenza. Altre le innesca il presidente di Confartigianato Trasporti, Amedeo Genedani. Innanzi tutto pretenendo l’immediata ripubblicazione sul sito web del ministero dei Trasporti dei costi minimi, visto che «non ci sono ormai più alibi per negare al settore dell’autotrasporto l’applicazione concreta e reale dei costi minimi d’esercizio dell’attività». Inoltre, ricordando che Confartigianato Trasporti ha già condiviso, insieme alle altre associazioni del coordinamento Unatras, la volontà di ripristinare appieno l’art. 83 bis. Infine sostenendo che «il mondo dell’autotrasporto deve avanzare immediatamente ed in maniera unitaria l’operatività completa dell’art. 83 bis del DL n. 122 del 2008 e chiedere che venga integrato con un sistema sanzionatorio capace di fare rispettare non solo l’applicazione dei costi minimi ma anche e soprattutto il rispetto dei tempi di pagamento».

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