Il TAR del Lazio ha emesso la sentenza sui costi minimi. Ma attenzione: non si tratta di una decisione autonoma, quanto dell’allineamento del tribunale amministrativo italiano alla decisione dello scorso settembre presa dalla Corte di Giustizia europea. Di fatto, la sentenza, depositata lo scorso 20 febbraio, non aggiunge nulla al motivo del contendere, che a questo punto non riguarda tanto la sopravvivenza o meno dei costi minimi, mandati definitivamente in pensione (come ricorda lo stesso TAR) lo scorso 31 dicembre con l’approvazione della Legge di Stabilità, quanto le cause ancora pendenti. In che senso? Per spiegarlo, vale la pena di ripercorrere brevemente questa ingarbugliata materia.
Torniamo al 5 giugno 2012, quando l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato impugna le determinazioni con cui l’Osservatorio sulle attività di autotrasporto fissa i costi minimi, un ricorso sostenuto anche con l’adesione di alcune committenze. Dall’altra parte i ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e dei Trasporti, insieme a Consulta l’autotrasporto e a Osservatorio, chiedono il rigetto del ricorso, con il sostegno in questo caso di molte associazioni di categoria dell’autotrasporto.
Il TAR emette una prima sentenza parziale il 15 novembre 2012 con cui respinge la richiesta della committenza di sospendere l’applicazione dei costi minimi, mentre il 17 gennaio 2013 sospende il giudizio e chiama in causa la Corte di Giustizia europea, alla quale chiede di appurare il contrasto tra il principio comunitario della libera concorrenza e i costi minimi così come fissati dall’Osservatorio. La Corte UE, il 4 settembre 2014, sancisce l’illegittimità delle decisioni dell’Osservatorio e sostiene anche che la determinazione dei costi minimi «è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno». Cosa anche possibile – aggiunge – se serve a raggiungere obiettivi legittimi come quello della sicurezza stradale, ma da escludere nel caso dei costi minimi, giudicati inidonei, né direttamente né indirettamente, a garantirne il conseguimento.
Oggi, di fatto, il TAR del Lazio, che aveva sospeso il giudizio, lo riassume per fare proprie – e d’altra parte non potrebbe fare altro – il giudizio della corte comunitaria.
A cosa serve questo giudizio? Da un punto di vista normativo a niente, perché parla di qualcosa che appartiene al passato, visto che non soltanto l’Osservatorio ma a questo punto nemmeno la normativa sui costi minimi esistono più. Potrebbe però servire a qualche avvocato della committenza a giocare d’anticipo rispetto alle cause in corso. Se cioè un trasportatore ha chiamato un giudizio un committente per ottenere la differenza tra quanto incassato e quanto fissato dai costi minimi, a questo punto rischia di subire il «contropiede» dell’altra parte, intenzionata a chiudere la partita in via stragiudiziale proprio agitando la sentenza del TAR. È inutile negare, cioè, che molta committenza ormai si sente la vittoria in tasca.
Sarà veramente così? L’unica risposta certa, a questo punto, non possono darla, forse, nemmeno i singoli giudici chiamati a giudicare sulle richieste di rivalsa sui costi minimi. O meglio, avrebbero tutta l’autonomia per farlo, ma essendoci pendente un giudizio davanti alla Corte Costituzionale non rimane che attendere quello. Anche perché il prossimo 15 aprile è stata fissata la camera di consiglio per decidere – così come richiesto dal Tribunale di Lucca – se effettivamente i costi minimi siano in contrasto con la Costituzione. E quel punto tutta questa complicata vicenda potrebbe avviarsi verso il tramonto.