L’incontro al ministero dello Sviluppo economico per discuterere della crisi Artoni e del possibile accordo con Fercam è stato rinviato a oggi. E subito dopo l’incontro è la presidente di CNA-Fita, Cinzia Franchini a fornire le prime importanti indiscrezioni rispetto all’elenco delle strutture che il gruppo altoatesino sarebbe disposto a rilevare. «Le filiali Artoni che Fercam ha deciso di acquisire in base al patto sottoscritto dai due gruppi – spiega Franchini – dovrebbero essere quelle di Brescia, Caorso, Cesena, Campogalliano, Como, Reggio Emilia, Montegranaro, Pontedera, Vercelli, Mantova, Dalmine, Alessandria, Terni, Palermo più un interesse su Maddaloni. Si tratta di un elenco informale e alcune di queste potrebbero essere in ballottaggio».
Inoltre, sempre Franchini riferisce che «Genova e Trieste sarebbero i centri Artoni che rimarrebbero in attività per consentire la cassa integrazione straordinaria per i 488 dipendenti del gruppo, dipendenti che da oltre due mesi non percepiscono stipendio». Ma per la presidente di CNA-Fita il problema principale non è quello dei dipendenti, quanto piuttosto quello di un intero indotto che dà lavoro a oltre 2500 persone. «Tanti imprenditori – aggiunge – molti dei quali associati alla Fita, sono esposti per centinaia di migliaia di euro col gruppo Artoni e hanno continuato a lavorare avendo avuto garanzie sulla continuità aziendale. Se andrà in porto questo accordo al ribasso tra i due colossi molte piccole e medie aziende rischiano di restare stritolate e, se non verranno saldate, rischiano di chiudere. Il patto tra Fercam e Artoni non può dimenticare chi ha lavorato e attende di essere pagato: il ministero deve applicare lo stesso modello utilizzato nel caso Ilva».