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Ecco i costi sacrificati dall’autotrasporto sull’altare del Sistri a rischio prescrizione

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Ma quanto è costato il Sistri agli autotrasportatori? Se ci ferma ai soli contributi si fa in fretta: 70 milioni circa se si valutano quelli versati esclusivamente dai trasportatori, un centinaio se si allarga la platea. Ma i contributi sono soltanto una parte del tutto. Da quando abbiamo lanciato l’azione collettiva ci hanno contattato decine di aziende che presentano un conto decisamente più lungo. Quanto lungo? Fare una media rispetto a una campione di un centinaio di imprese sarebbe poco scientifico. Possiamo dire che nei casi più eclatanti supera i 50 mila euro. È possibile però chiedere aiuto a un sondaggio, condotto dalla CNA tra 1.700 associati alla fine della scorsa estate, tenendo presente che gli iscritti a questa associazione sono soprattutto artigiani e che quindi dispongono di parchi veicolari contenuti. A parchi più nutriti, infatti, corrisponde un danno maggiore.

Ebbene, il 45 % dei trasportatori interrogati dichiara di aver sostenuto nuovi costi superiori ai 10 mila euro, con punte che arrivano a 60 mila euro. Il 49% ha registrato maggiori difficoltà procedurali, anche se ovviamente non le riesce a quantificare, il 18% parla di rallentamento dell’attività ordinaria, il 14,6% di ricorso a personale aggiuntivo. E qui i costi schizzano alle stelle…

I costi, diversi dai contributi, che tutti hanno sostenuto
Ma ci sono ancora altri costi connessi all’operatività del Sistri e che praticamente tutti i trasportatori hanno dovuto sostenere. Perché il contributo al ministero consentiva di prendere possesso delle black box. Ma poi in concreto chi le montava? Le aziende più grandi, dotate di officina interna, magari hanno fatto da soli, «distraendo» del tempo. Ma tutti gli altri? Semplice: sono andati a bussare da un elettrauto o da un’officina e chiedere il montaggio in cambio di una cifra che poteva «ballare» tra i 150 e i 250 euro, a seconda delle dimensioni del parco veicolare. Perché è ovvio che chi deve montare 100 scatole riesce a strappare un prezzo inferiore rispetto a chi ne deve installare una soltanto.

Poi ci sono le sim card, funzionanti esclusivamente allo scopo della tracciabilità (nel senso che non potevano essere usate ad altro scopo) e da pagare in relazione al traffico generato. Ebbene, chi si è iscritto al Sistri e ha montato scatole nere non può non aver pagato per queste sim. Magari qualcuno ha pagato più, qualcun altro meno, ma in ogni caso tutti hanno sostenuto la spesa. Le relative bollette, quindi, sono un maggior costo.

Poi c’è la formazione per il delegato Sistri, il soggetti al quale – lo dice espressamente la normativa – «nell’ambito dell’organizzazione aziendale, sono stati delegati i compiti e le responsabilità relative alla gestione dei rifiuti per ciascuna unità locale». Figura che tutti hanno dovuto individuare, anche perché – lo specifica sempre la legge – per l’azienda che non indica un delegato si ritiene tale il legale rappresentante. È facile presumere che una figura di questo tipo, chiamata ad assumersi delle responsabilità, doveva (ma forse anche «voleva») conoscere e informarsi. E a questo scopo avrà frequentato corsi di formazione ad hoc, mirati a spiegare la procedura e a come inserirsi al suo interno. È possibile che qualcuno – per scienza infusa – ne abbia fatto a meno, ma i più per imparare hanno dovuto perdere ore di lezione e sopportare i relativi costi. Va da sé, quindi, che se uno si trova in mano una fattura la cui giustificazione è «Corso di Formazione per delegati Sistri» la può aggiungere a tutti i costi immolati sull’altare della tracciabilità dei rifiuti.

I contributi li restituisce il ministero? Un’ipotesi vaga e semmai lontana
La nostra azione collettiva si muove anche per cercare di recuperare questi soldi, oltre ai contributi. Sul web, in questi giorni, si è sparsa la notizia che i contributi sarebbero restituiti dal ministero, interpretando in maniera ottimisticamente estensiva le parole del sottosegretario all’Ambiente Silvia Velo, che nel corso di un’interrogazione parlamentare ha spiegato che «sono in fase di studio» le modalità per poter restituire o compensare i contributi versati «laddove ne ricorrano i presupposti».

Tutto qui. E allora proviamo a puntualizzare almeno due aspetti.

1)  Il sottosegretario parla genericamente di ipotesi da studiare. E il vaglio a cui fa riferimento è ovviamente di natura economica. Detto in sintesi: bisogna valutare se ci sono o meno i soldi. Ora in generale verrebbe da ribattere che sono tempi in cui di soldi ne girano pochi. Ma stiamo al pezzo. Se il ministero avesse avuto soldi da spendere forse avrebbe gestito diversamente anche il rapporto con Selex, la società che ha gestito il sistema e con la quale non è stato possibile risolvere il contratto, per evitare di pagare penali. E poi, in ogni caso, il sistema è stato concepito in modo tale che lo Stato versa alla Selex una parte dei soldi che incassa come contributi dalle imprese. E allora – domanda maliziosa – come mai uno Stato intenzionato a restituire i contributi per gli anni passati, minaccia sanzioni fino a 93.000 euro per quelli che non pagano i contributi per l’anno in corso?

2) Va anche ricordato che lo stesso sottosegretario Velo già lo scorso anno, rispondendo a un’interrogazione dell’on. Patrizia Terzoni (M5S), aveva dichiarato che l’adozione di un piano di intervento con cui restituire o compensare i contributi per il Sistri sarebbe potuto essere valutato e applicato, nei limiti consentiti dall’autonomia negoziale, solo in sede di modifica del contratto. Solo quindi quando a gestire il sistema sarà qualche altra società. E quindi, nelle migliore delle ipotesi, la concreta opportunità potrebbe essere valutata – diciamo così – «a babbo morto», visto che entro giugno se tutto fila liscio ci sarà una gara per affidare il sistema a qualche altra società e quindi, entro una manciata più o meno corposa di mesi, verrà individuato un vincitore. Quanto durerà tutto ciò? Valutando per difetto, si potrebbe dire entro il 2016. Ma tutto lascia presumere qualcosa di più. 

Il rischio “prescrizione”
A quel punto si produrrebbe almeno una conseguenza da tener presente: tutti i maggiori costi che abbiamo preso in considerazione, siccome possono essere valutati soltanto come un danno ingiusto, si prescrivono in 5 anni. Nel 2016, quindi, ci si potrebbe mettere una bella pietra sopra. Per sperare di recuperarli non c’è altro modo: aderire alla nostra azione collettiva. Come? Seguite il link. E’ più facile di quanto non si creda…

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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