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EDITORIALE: Il pomodoro, il frutto della discordia

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La crisi di vocazioni nella professione di autisti, lo sfruttamento di tanti disperati spesso intriso di razzismo, la presenza dietro queste pratiche di “lunghe mani” italiane… Una riflessione su questi temi contenuta nell’editoriale di ottobre di Uomini e Trasporti, partendo dalla campagna del pomodoro

 

Frutto rosso e tondo il pomodoro, intorno al quale si rincorrono le vicende più basse tra quelle messe in scena da questo tempo fluido e di transizione. La raccolta del pomodoro è gestita quasi sempre tramite sfruttamento becero di immigrati disperati. Spesso a occuparsi del reperimento del personale sono agenzie di intermediazione, meglio note come «caporali», gestite a volte con logiche aberranti e intrise di razzismo. È di fine settembre la scoperta di alcuni caporali calabresi che pagavano differentemente la forza lavoro, riconoscendo 35 euro al giorno ai bianchi e 25 ai neri, a prescindere dalla cittadinanza. 10 euro di differenza giustificati soltanto dal diverso colore della pelle.

Negli stessi giorni un trasportatore rumeno di 48 anni era fermato a Collecchio, vicino Parma: dopo essere risultato positivo all’alcoltest gli veniva ritirata la patente. Lui si giustificava come poteva: «Non stavo lavorando; ero andato a mangiare qualcosa e avevo bevuto qualche bicchiere di vino». Gli agenti, disarmati da una scusa tanto banale, ricorrevano a consigli di buon senso: «Ma il camion non lo potevi tenere a casa?». E qui inizia il secondo tempo della storia. Perché l’autista a quel punto ha tirato fuori alcuni documenti e porgendoli agli uomini in divisa ha detto seccamente: «La mia casa è in Romania; qui vivo su questo camion».

In effetti, scorrendo il contenuto di quelle carte, gli agenti verificavano che l’autista era entrato in un’agenzia interinale di Bucarest lo scorso 25 luglio. Il giorno seguente era stato distaccato a tempo determinato presso una società di Caltanissetta, impegnata a svolgere in subappalto la raccolta del pomodoro per conto del general contractor di un’azienda produttrice di conserve. Giunto in Italia gli avevano consegnato il veicolo e quello era diventato per lui come il guscio per una lumaca: una casa da portarsi dietro quando lavori, quando mangi, quando dormi. In questo modo aveva condotto la sua vita per tre lunghi mesi, guadagnando in cambio una cifra irrisoria. Eppure quelle poche centinaia di euro lo avevano convinto ad abbandonare la propria casa per accettare quella condizione “strisciante”. Testimonianza tangibile di una disperazione insopportabile.

Un dettaglio illuminante per comprendere questa vicenda, però, riguarda l’agenzia interinale di Bucarest: i proprietari, come spesso accade, sono tutti di nazionalità italiana. Il collocamento a Est di quel tipo di attività serve soltanto per stare nel punto più adatto a raccogliere i frutti della disperazione e a convogliarli laddove qualcuno nella penisola chiede di sfruttarli.

Se non fossero stati quei due bicchieri di vino, forse questa vicenda non sarebbe venuta a galla, ma rimasta sotto traccia a far scorrere il suo contenuto di ingiustizia e di concorrenza sleale. Perché quel lettore di Piacenza che ci ha scritto in redazione per lamentarsi che, mentre era impegnato nella campagna del pomodoro, ha preso un verbale da quasi 500 euro perché, per pochi chilometri, non aveva coperto il carico con un telo adeguato, opera sullo stesso mercato dell’azienda che sfruttava il lavoro dell’autista rumeno. Ed essere costretti ad applicare scrupolosamente la legge (e a volte a pagare per infrazioni anche minime), mentre altri la aggirano con disinvoltura, non soltanto mette in difficoltà economica perfino le aziende più serie, ma finisce per far odiare l’Europa e l’immigrazione tutta. Quando invece il marcio è lì, subito dietro casa.

Daniele Di Ubaldo

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