6.000 euro e 300 mila euro. Sono questi i sovraccosti che, secondo il Centro Studi di Unimpresa si troveranno a subire rispettivamente le piccole e medie imprese italiane per il loro approvvigionamento energetico del terzo trimestre 2025 e un’azienda di autotrasporto per rifornire nell’arco di un anno una flotta di 50 camion. Tutta colpa dei previsti aumenti di gas e petrolio – e quindi dei suoi derivati – causati dall’escalation militare tra Stati Uniti e Iran. L’impatto complessivo dell’inflazione, se la crisi dovesse durare per almeno tre mesi, è stimato fino a +0,8 punti percentuali, con un ritorno del tasso annuale nel viaggio verso il 3%.
Secondo il Centro Studi, infatti, l’emergenza militare non tocca soltanto aspetti geopolitici, ma è fonte di instabilità economica. La ragione è presto detta: il nostro Paese importa oltre il 75% del proprio fabbisogno energetico e dipende ancora largamente da petrolio e gas per far funzionare capannoni, catene logistiche e trasporti: di conseguenza «il rincaro delle materie prime energetiche – scrive Unimpresa in una nota – è un elemento dirompente, capace di impattare con forza crescente sui costi, sui margini e, a cascata, sui prezzi finali pagati dai consumatori».
Più nel dettaglio, già nelle ore successive all’attacco, il prezzo del gas sul mercato Ttf di Amsterdam ha già segnato un balzo vicino al 9%, mentre il Brent ha iniziato un’altalena di saliscendi che comunque finirà per spingere in alto il prezzo. Senza considerare che se la crisi dovesse aggravarsi ulteriormente e magari comportare la chiusura o il rallentamento del traffico marittimo dallo Stretto di Hormuz – vale a dire in quel braccio di mare da cui transita il 20% del petrolio mondiale – l’ascesa potrebbe essere straordinariamente più elevata.
E comunque se anche la situazione dovesse rimanere allo stadio attuale, con un un aumento strutturale di +10 euro/MWh sul gas e di +10 dollari al barile sul petrolio, se mantenuto per almeno tre mesi, l’impatto su una piccola e media impresa manifatturiera potrebbe aggirarsi nel terzo trimestre 2025 su un 15-20% di aumento del costo medio dell’energia. E di conseguenza finirebbe per riflettersi anche sui prezzi al consumo, con un’onda inflattiva che, secondo le simulazioni del Centro studi di Unimpresa, potrebbe determinare un incremento tra 0,4 e 0,8 punti. E considerando che l’inflazione core (al netto di energia e alimentari) viaggiava intorno all’1,7%% a maggio 2025, l’aggiunta di questo nuovo elemento potrebbe riportare il tasso complessivo verso il 3% entro fine estate.
Lo stesso Centro Studi stimava che un’impresa di autotrasporto con 50 camion potrebbe trovarsi a pagare fino a 300 mila euro in più all’anno solo per il carburante. Ma è un calcolo effettuato prima dell’aggravarsi della crisi e del coinvolgimento statunitense. E quindi forse oggi dovrebbe essere rivisto in aumento.
«Chiediamo al governo di attivare un monitoraggio costante e in tempo reale sull’andamento dei prezzi di gas e petrolio – commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora – con l’obiettivo di valutare tempestivamente l’impatto sulle imprese italiane, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni. Contestualmente, riteniamo indispensabile la convocazione urgente di un tavolo di emergenza a Palazzo Chigi, con la partecipazione delle associazioni di impresa, delle autorità di regolazione e dei principali operatori del settore energetico. Non possiamo permetterci di affrontare una nuova crisi energetica con strumenti ordinari».