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Il Parlamento europeo vara a maggioranza il primo Pacchetto Mobilità. La furia dell’Est

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Hanno fatto di tutto per evitare che il primo Pacchetto Mobilità dell’Unione europea venisse approvato nel testo concordato lo scorso aprile dal Consiglio dei ministri d’Europa. Hanno scritto lettere, presentato mozioni, manifestato in piazza, ma non c’è stato niente da fare. Nella notte tra l’8 e il 9 luglio, il Parlamento europeo ha votato a maggioranza (ha detto sì il 65% dei 689 votanti) il testo che introduce nuove regole per l’autotrasporto europeo e i Paesi dell’Est, dopo tre anni di battaglia, hanno dovuto subire una mal digerita sconfitta.

LE NUOVE NORME
La riforma consiste in due regolamenti – uno sull’accesso al mercato e alla professione e un altro sull’impiego del tachigrafo e sui tempi di guida e di riposo – e una direttiva sui distacchi. I punti più rilevanti riguardano tutto ciò che è connesso al trasporto internazionale e al cabotaggio. Il Pacchetto indica, infatti, le modalità per garantire parità di retribuzione agli autisti che operino in Paesi dove il trattamento economico è diverso da quello di provenienza. I conducenti, inoltre, dovranno rientrare nel proprio Paese ogni tre o quattro settimane, ma è ribadito il divieto del riposo in cabina, per cui, in caso di necessità, sarà il datore di lavoro a farsi carico delle spese d’albergo. Quanto al cabotaggio, pur confermando il tetto di tre viaggi nel giro di sette giorni, la riforma introduce una pausa obbligatoria di quattro giorni prima che lo stesso veicolo possa rientrare nello stesso Paese estero e, comunque, il mezzo dovrà obbligatoriamente rientrare in azienda ogni otto settimane.
Altri punti di rilievo sono l’estensione dell’obbligo del tachigrafo ai veicoli con massa tra le 2,5 e le 3,5 ton, l’impiego dello stesso strumento per controllare i passaggi di frontiera e le misure per contrastare le letterbox companies, le società fittizie costituite in paesi terzi. Ma è evidente che distacchi e cabotaggio (che entreranno in vigore fra 18 mesi) e tempi di guida (che dovranno essere applicati 20 giorni dopo la pubblicazione del Pacchetto sulla Gazzetta ufficiale europea) costituiscono i punti di maggiore attrito della riforma.

L’OPPOSIZIONE SI ALLARGA
Un attrito che, accanto ai paesi capofila del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), ha visto schierati contro l’approvazione della riforma altri sette Paesi: Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta e Romania. Tutti insieme detengono 192 dei 751 voti del Parlamento europeo: anche se nell’assemblea il voto segue più le posizioni dei partiti europei che quello dei governi nazionali, non è un caso che le tre mozioni procedurali con cui il fronte dell’Est ha tentato di bloccare la riforma alla vigilia del voto – respinte con ampia maggioranza – abbiano raccolto un numero di voti vicino a quello del loro plenum: 218 contro 469 la prima, 162 contro 524 la seconda e 174 contro 513 la terza.
Indubbiamente le nuove norme faranno salire i costi delle imprese dell’Est (e di quelle che hanno delocalizzato nell’Est). D’altra parte, la riforma ha una doppia valenza, sociale ed economica: migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti e riequilibrare la concorrenza tra imprese dell’Ovest e quelle dei Paesi orientali, essendo queste ultime già facilitate da salari, imposte e contributi più bassi di quelli occidentali. E, senza dirlo esplicitamente, scoraggiare il cabotaggio abusivo basato proprio sullo sfruttamento degli autisti.

SODDISFAZIONE IN ITALIA
Questo spiega da una parte la soddisfazione dei Paesi occidentali e dall’altra il frenetico attivismo degli oppositori. La ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, ha subito dichiarato che l’approvazione della riforma rappresenta un successo per l’Unione europea e anche per l’Italia, che ha visto «accolte le priorità rappresentate nel corso del negoziato durato tre anni». E tutte le associazioni dell’autotrasporto le hanno fatto eco, da Conftrasporto («Un passo importante verso la concorrenza leale») a Confartigianato trasporti («Una pagina storica per la categoria»).
Il controcanto irritato dei Paesi dell’Est era cominciato già in aprile, quando l’ok del Consiglio dei ministri europei aveva avviato il Pacchetto verso l’approvazione finale. «I trasportatori dei paesi comunitari dell’Europa dell’Est», aveva protestato Yordan Arabadjev dell’Unione trasportatori internazionali, «dovranno competere in condizioni di svantaggio con le aziende dell’Europa occidentale e con quelle di paesi terzi: Turchia, Serbia, Moldavia e Ucraina». Un imprenditore bulgaro, Angel Trakov, aveva lamentato di aver dovuto «aprire tre nuovi centri logistici in Europa» e speso «milioni di euro» per organizzare i riposi dei conducenti secondo le nuove norme. E un parlamentare europeo del partito nazionalista bulgaro, Angel Dzambazki, era arrivato a parlare di «una misura puramente comunista».

VELATE MINACCE
Le parole di Dzambazki possono far sorridere. Così come può far sorridere una delle motivazioni con cui gli autotrasportatori romeni dell’associazione Untrr, poche ore dopo il voto, hanno chiesto al governo di Bucarest di ricorrere davanti alla Corte europea per «eliminare le disposizioni discriminatorie» del Pacchetto: che «dormire in cabina protegge la salute» contro i rischi di contagio del Covid. Ma sono un termometro di come i Paesi orientali, che in molti settori traggono vantaggio dalle diverse condizioni dei loro sistemi economici e sociali, mettano in campo qualunque argomento pur di contrastare la riforma.
Non stupisce, allora, il tono della lettera che pochi giorni prima del voto, i ministri dei Trasporti e degli Esteri di nove degli undici Paesi del fronte dell’Est (non l’hanno firmata Repubblica Ceca e Slovacchia) hanno inviato a tutti i parlamentari europei nel disperato tentativo di convincerli a «riparare» la versione della riforma sottoposta al voto, definendo le misure «restrittive e sproporzionate» e sciorinando una sfilza di argomenti: è un ritorno al protezionismo, crea distorsioni del libero mercato, fa aumentare le emissioni a causa dei rientri obbligatori, incide negativamente sulla competitività dei produttori europei. Ma, soprattutto, sottolineando che questa riforma «ha creato una divisione straordinaria» all’interno dell’Unione che potrebbe mettere in pericolo anche il «Green Deal» – il pacchetto di iniziative della Commissione per raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050 – e lo stesso Mercato Unico Europeo. E, subito dopo il voto, il ministro dei trasporti bulgaro, Rosen Zhelyazkov ha annunciato il ricorso del suo governo davanti alla Corte di giustizia europea, chiedendo il sostegno agli altri Paesi del blocco orientale. Insomma, dire che l’abbiano presa male è un eufemismo.

La Corte UE pone un freno al distacco degli autisti
I CONTRIBUTI SI PAGANO DOVE SI LAVORA

Se i paesi dell’Est si sono infuriati per l’approvazione del Pacchetto Mobilità, certo non hanno gradito la sentenza C-610/18 pronunciata il 16 luglio 2020 dalla Corte di Giustizia Europea. La causa era stata intentata dall’ente statale olandese di previdenza sociale per chiedere di far pagare i contributi di autisti assunti da una società cipriota, ma distaccati, pagati e gestiti da un’impresa olandese nel paese di quest’ultima. E la Corte gli ha dato ragione in base all’argomentazione che il datore di lavoro «è l’impresa di trasporto che esercita sui conducenti l’autorità effettiva, sopporta il loro costo salariale e dispone del potere effettivo di licenziarli e non quella con cui l’autista ha stipulato un contratto di lavoro e che è formalmente presentata in tale contratto come suo datore». Quindi, è con la società olandese, e non la cipriota, che si stabilisce un vincolo di subordinazione perché è questa che esprime un’autorità effettiva sull’autista. In pratica, se un autista è assunto da un’agenzia estera, ma viene distaccato in Italia presso un’azienda locale i contributi li deve versare all’Inps.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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