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Ma la guerra è un volano per la logistica e l’economia?

La tentazione esiste e tanti filosofi non le hanno resistito: reputare il momento bellico come una fase di innovazione tecnologica, di raggiungimento di soluzioni inedite, di affinamento di tecniche e di processi che poi diventano patrimonio di tutti una volta conquistata la pace. Ma è veramente così? Una crescita fondata sulla distruzione di capitale fisico e umano e sulla distrazione di investimenti produttivi e sociali verso spese militari, non rischia di generare inflazione o di creare squilibri sulla bilancia commerciale? Ecco alcune risposte argomentate guardando alla Storia

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La guerra, con il suo carico di distruzione e rottura drastica degli assetti, ha spesso rappresentato una spinta paradossale verso l’innovazione tecnologica, la riorganizzazione produttiva e lo sviluppo della logistica. Fin dall’antichità, i conflitti hanno richiesto sistemi logistici sempre più sofisticati per garantire il rifornimento di eserciti in movimento, la mobilitazione di risorse e la gestione delle linee di comunicazione. Questa pressione ha portato allo sviluppo di infrastrutture e di tecnologie che, in molti casi, hanno trovato successiva applicazione nel contesto civile e commerciale. Insomma, la furia distruttrice della guerra ha determinato anche la riconfigurazione dei sistemi economici e sociali.

Durante la Seconda guerra mondiale, per esempio, l’efficienza logistica fu uno dei fattori determinanti per la vittoria degli Alleati. Lo sbarco in Normandia rappresentò una profonda trasformazione nelle tecniche del rapporto logistico tra mare e terra. 

Il concetto moderno di supply chain management nasce proprio in ambito militare, con la pianificazione sistemica delle forniture, l’uso intensivo della standardizzazione e lo sviluppo di tecniche avanzate di trasporto intermodale. Tecnologie come il radar, il GPS, l’informatica distribuita e persino i container marittimi affondano le radici nelle esigenze logistiche belliche.

Tuttavia, definire la guerra come «volano» della logistica impone una riflessione critica. Se da un lato i conflitti possono accelerare l’innovazione e la modernizzazione delle catene logistiche, dall’altro producono instabilità nelle rotte commerciali, aumento dei costi energetici, insicurezza negli approvvigionamenti. 

La guerra in Ucraina ne è un esempio contemporaneo: ha causato interruzioni nei corridoi logistici euroasiatici, bloccato porti strategici del Mar Nero e spinto i paesi europei a riconsiderare la propria dipendenza da rotte e fornitori vulnerabili. Il ciclo dell’approvvigionamento energetico è stato completamente cambiato. 

Ne è derivata una nuova centralità delle infrastrutture strategiche (porti, ferrovie, interporti), e un ritorno alla logica del “reshoring” e alla regionalizzazione delle catene del valore.

Anche dal punto di vista economico, la guerra genera un apparente paradosso: nei primi tempi, la produzione bellica può stimolare l’occupazione e la domanda aggregata, come sostenuto dalla teoria keynesiana nei contesti di guerra totale. Ma tale crescita è nel medio e lungo periodo insostenibile, poiché basata sulla distruzione di capitale fisico e umano. La spesa militare sottrae risorse agli investimenti produttivi e sociali, alimenta l’inflazione e crea squilibri nella bilancia commerciale. 

Inoltre, la guerra non distribuisce i benefici economici in modo equo: arricchisce alcuni settori (difesa, energia, trasporti strategici), ma ne devasta altri (agricoltura, turismo, manifattura).

La logistica, in questo contesto, si trova al centro di una tensione: è al tempo stesso bersaglio e strumento del conflitto. Colpire le infrastrutture logistiche è una delle prime strategie belliche, mentre proteggere i corridoi di rifornimento diventa una priorità assoluta. Al contempo, la logistica civile deve adattarsi in fretta a nuovi scenari geopolitici, costruendo ridondanza, resilienza e adattabilità.

In conclusione, la guerra non è un volano virtuoso né per l’economia né per la logistica. È, semmai, un acceleratore di trasformazioni spesso traumatiche, che impongono risposte rapide e durature. La vera sfida è tradurre le innovazioni forzate dal conflitto in soluzioni sostenibili in tempo di pace, restituendo alla logistica il suo ruolo di infrastruttura per la cooperazione e non per la distruzione.

Ragionare sulla logistica per i tempi di pace è la sfida che andrebbe percorsa. Le infrastrutture per le connessioni commerciali, la libera circolazione delle persone e delle merci sono fattori di progresso economico capaci di determinare strutturali e permanenti vantaggi competitivi per le Nazioni.

Protezionismo, dazi e bellicismo portano distruttive interruzioni alle catene logistiche, che poi richiedono tempi lunghi per la ricostruzione e il ripristino. I costi logistici delle guerre sono di gran lunga più onerosi rispetto ai vantaggi sociali ed economici della logistica della pace.

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