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Pirelli, il controllo ai Cinesi: ecco il futuro delle gomme per truck

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Anche le gomme prendono la via dell’Est. È infatti cinese – il colosso della chimica ChemChina  – il nuovo socio forte di Pirelli. Il Cda di Camfin ha dato il via libera definitivo all’accordo con cui oltre un quarto di Pirelli verrà trasferito a una newco di cui il gruppo di Haidian possiederà il 65%. Nell’arco dei prossimi 5 anni ChemChina – quindi il governo di Pechino – deterrà la maggioranza dell’azienda italiana.

La prima mossa dell’operazione prevede la vendita del 26,2% di Pirelli oggi in mano alla Camfin (controllata alla pari dalla cordata italiana messa in fila da Marco Tronchetti Provera con Intesa e Unicredit e dai russi di Rosneft) a una nuova società. Questa verserà 1,90 miliardi alla Camfin per il pacchetto azionario; i soci ne reinvestiranno 665 milioni nella stessa nuova società, dove invece i cinesi di ChemChina metteranno 1,235 miliardi. A quel punto, a 15 euro per azione, si lancerà l’Opa per delistare la Pirelli. Il rapporto di forza nella nuova scatola dovrebbe essere quindi di 2 a 1 circa in favore dei cinesi, tra il 51 ed il 65% a seconda di come andrà l’offerta pubblica, mentre il titolo sarà scambiato in Piazza Affari fino al momento del ritiro. In base poi a un preciso accordo modificabile solo dal 90% dei voti in assemblea, sede e centro di ricerca rimarranno in Italia.

Pirelli potrà così dividersi in due, separando la produzione di pneumatici per auto e moto (tyre) da quella per i veicoli pesanti (truck), destinata a sua volta a combinarsi con Aeolus Tyre (ChemChina) per diventare il quarto produttore mondiale di gomme per camion. Pirelli Tyre, invece, potrebbe tornare in Borsa entro quattro anni più snella di prima, ma il condizionale in questo caso è d’obbligo. Per il momento è previsto invece il ritiro dalla Borsa proprio per velocizzare i tempi del riassetto industriale. All’appello manca però il parere dei titolari del 22,59% di Pirelli, i fondi Fil Limited e Harbor International, rispettivamente con il 2 e il 5,06%, di Edizione (famiglia Benetton) con il 4,6%, dei Malacalza (6,98%) e di Mediobanca (3,95%). Finora solo la famiglia Malacalza ha dato un primo segnale, manifestando l’intenzione di non aderire subito all’offerta. Il gruppo ligure potrebbe fare perno anche su un potenziale potere di veto sul ritiro dalla Borsa, dato dal 6,98% in suo possesso. Sulla carta i 15 euro dell’Opa sono un prezzo conveniente, ma il mercato ha già fatto capire di aspettarsi qualcosa in più.

Oggi la Pirelli è una società solida e soprattutto molto redditizia. Dal 2009 al 2014 la società della Bicocca ha visto salire del 50% il suo fatturato, dai 4 miliardi nel pieno della crisi finanziaria mondiale ai 6 miliardi di oggi. Una crescita dovuta in massima parte al buon ritmo della domanda sui mercati emergenti. Il mercato domestico assorbe oggi poco più del 5% del fatturato, mentre nel 2009 valeva oltre il 10%. A compensare il minor dinamismo sul mercato interno ci ha pensato la crescita oltre frontiera. Più di un terzo dei ricavi viene strutturalmente dal Sudamerica; Asia e Usa insieme compongono un altro terzo del giro d’affari della Pirelli. Il margine operativo lordo viaggia a fine 2014 al 19% delle vendite (valeva poco più dell’11% a fine del 2009).

Ancora più sostenuta la marcia del margine operativo netto,  salito da 261 milioni del 2009 ai 750 milioni del 2013. E del resto la buona salute del colosso degli pneumatici è nelle cifre dei profitti netti. Dal 2009 al 2013 Pirelli ha cumulato utili netti per oltre 1,1 miliardi. E all’appello manca il 2014 con il consenso di mercato che stima altri 370 milioni da aggiungere al ricco paniere. Debiti in calo, infine, con un patrimonio netto che vale oltre 2,4 miliardi e con un rapporto di oltre 2 volte i debiti finanziari netti. Insomma i cinesi hanno scelto la preda migliore sulla piazza. 

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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