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Una domanda dal Forum Conftrasporto: «I veicoli pesanti inquinano per il 4,6%; serve tassarli ancora?»

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L’autotrasporto sconta una pessima immagine. Ed ecco perché un qualunque governo impegnato a reperire risorse finanziare punta dritto sui camion. Invece, se si guardano i dati si scopre esattamente il contrario: l’inquinamento in termini di emissioni climalteranti prodotte dai mezzi pesanti in Italia è appena il 4,6% del totale, mentre in Europa arriva al 5,9%. Rispetto alla manifattura, quindi, attestata su un 20,5%, o all’energia, quotata al 35%, è un nano in termini di inquinamento. È una delle prime evidenze emerse dalle analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, basate su dati Eurostat e presentate questa mattina al Forum Internazionale di Confcommercio-Conftrasporto in corso a Cernobbio, che servono a smontare con i numeri tanti luoghi comuni. Tramire i numeri, infatti, si riesce a spiegare cosa ci sia dietro questa performance ambientale del trasporto pesante. Il volume di polveri sottili, per esempio, ha registrato un taglio drastico negli ultimi 30 anni passando dalle 23,8 migliaia di tonnellate del 1990 alle 4,4 migliaia del 2017. 

Ugualmente spiazzante è che l’Italia, nello stesso lasso di tempo, ha fatto molto meglio di altri paesi europei, riducendo del 30% le fonti inquinanti climalteranti, quando in media nell’eurozona sono aumentate del 18%. E non pensate che il taglio del 30% sia così agevole; prova ne sia che le emissioni prodotte dal settore residenziale sono sì diminuite, ma soltanto del 10% e quelle generate dai rifiuti sono addirittura aumentate del 5%.

È ovvio che questi numeri vanno tenuti in seria considerazione da chi sta scrivendo la legge di bilancio e guarda all’autotrasporto per recuperare risorse, tagliando il rimborso delle accise ai veicoli euro 3 ed euro 4 entro il 2021. «Queste iniziative – ha sottolineato il vicepresidente di Conftrasporto, Paolo Uggè – non hanno senso, perché di fatto tolgono 350 milioni alle imprese che devono competere con altri paesi che già beneficiano di costi più bassi, quando invece non si prende nessuna iniziativa rispetto a settori che invece inquinano per 11 miliardi di euro (il riferimento è all’agricoltura, ndr), perché non riescono a fare quegli interventi che l’autotrasporto ha fatto».

E tra gli interventi a cui fa riferimento Uggè va incluso anche un ringiovanimento – ancora modesto, in verità – del parco veicolare del settore, che oggi per circa il 20% è composto da veicoli euro 6. «Se raddoppiassimo questa percentuale – aggiunge Uggè – avremmo un impatto sull’inquinamento vicino a quota zero». 
Tutto questo per dire che – continua il vicepresidente – «occorre cambiare il sistema e aiutare il rinnovo del parco in quanto produrrebbe non soltanto positività per l’ambiente, ma anche una ripresa della vendita di veicoli nuovi e garantirebbe maggiore sicurezza, perché i veicoli di ultima generazione sono equipaggiati con sistemi in grado di scongiurare molti incidenti. Quello avvenuto sulla tangenziale di Bologna nell’estate del 2018 (l’esplosione a seguito di tamponamento di una cisterna di GPL), per esempio, non sarebbe avvenuto se il veicolo coinvolto fosse stato dotato di frenata assistita». 

Ma soprattutto il cambiamento di sistema deve contemplare anche un cambiamento nella logica di tassazione, perché quella attuale – che di logica difetta – finisce per generare conseguenze paradossali. Pensate che oggi, in Italia, il trasporto pesante versa in generale nelle casse dello Stato 1,12 miliardi di euro in più rispetto ai costi generati. Ma la fetta più grande non la pagano gli euro 0 (che rimborsano 1.565 euro) o i tanti euro 3 in circolazione (tassati per 2.638 euro), ma gli euro 6 che arrivano a pagare 7.892 euro. Allora è evidente che la cosa da imparare a fare non è di tassare di più, ma di tassare meglio e con una logica più attenta.

Una logica che dovrebbe considerare che se le merci prendessero anche la via del treno (peraltro sempre più obbligatoria, in prospettiva, per andare al di là delle Alpi) o se un veicolo riuscisse a viaggiare senza essere costretto in code e rallentamenti, l’inquinamento beneficerebbe di ulteriori drastici tagli. Ma qui il capitolo da scrivere riguarda le connessioni o, più genericamente, le infrastrutture, in cui la problematica principale sembra quella di riuscire a spendere. «Il ministero delle Infrastrutture – ha ricordato Uggè – non ha speso nel 2018 il 60% dei fondi che aveva a bilancio e per il programma operativo nazionale Reti e Infrastrutture del mezzogiorno, basato su fondi comunitari, è stato erogato solo il 23% delle somme disponibili». E su questo punto gli ha fatto eco anche il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, sottolineando come «lo sblocco dei cantieri, da solo, porterebbe un aumento del PIL del 2,5% e genererebbe 300mila posti di lavoro». E visto che la previsione del PIL sul 2020 di Confcommercio non va oltre a un magro 0,3%, tanto varrebbe partire…

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