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HomeRubrichePensa che ti passa: gli editoriali di UeTE se fosse l’uomo a far paura alla macchina?

E se fosse l’uomo a far paura alla macchina?

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L’espressione «intelligenza artificiale» suscita diffidenza, perché ci prospetta una convivenza con qualcosa di inumano dotato di quella qualità (l’intelligenza) che in genere distingue gli umani dagli altri esseri animati. Ciò che spaventa di una macchina, in definitiva, non è la sua capacità di apprendere o di ragionare, ma il fatto di essere «artificiale». Per una generazione cresciuta a pane e Blade Runner, l’essere artificiale rimanda infatti al replicante, alla macchina che si emancipa e si mette in concorrenza con l’uomo e che addirittura ambisce a trovare una sua identità «più umana» attraverso una memoria del passato. Una macchina da temere perché pretende un suo posto e perché ha capacità superiori alle nostre, senza essere umana.

Ecco perché propongo di smussare gli spigoli presenti nel termine «artificiale» e di parlare piuttosto di «intelligenza suppletiva», enfatizzando la capacità della tecnologia di fornirci un supporto quando e dove abbiamo bisogno. Consideriamo per esempio un camion: quando viaggia – essendo connesso – immagazzina migliaia e migliaia di dati; poter disporre di un’intelligenza in grado di incrociarli e di interpretarli in un tempo infinitesimale diventa utile per sfruttare al meglio il veicolo.

Sono convinto che se imparassimo a guardare agli algoritmi in questo modo vivremmo più sereni, perché saremmo confortati dalla consapevolezza di poter disporre di una tecnologia che alla bisogna estende la nostra intelligenza, per sua natura limitata. E poi bisogna essere onesti: la storia dell’uomo, così come quella dell’autotrasporto, non è fatta soltanto di espressioni di umanità da difendere dall’invasione di macchine senza scrupoli, ma anche di azioni tutt’altro che umane, di momenti in cui se ci fosse stata un’intelligenza suppletiva a darci una mano avremmo per lo meno limitato i danni. E quindi, quando temiamo che tecnologia e robot possano renderci peggiori, ci dobbiamo ricordare delle nefandezze che siamo stati in grado di concepire.

Ci dobbiamo ricordare, per essere più espliciti, di quelle società di autotrasporto che non soltanto pagavano autisti dell’Est pochi spiccioli, non soltanto li trasformavano in uomini-lumaca, facendoli vivere esclusivamente all’interno di un camion, ma trattenevano dal loro stipendio 300 euro al mese a titolo di «affitto della cabina».

Ci dobbiamo ricordare di quelle aziende che da un giorno all’altro licenziavano i propri autisti per poi prospettare loro, come unica possibilità per la riassunzione, l’iscrizione a un’agenzia di lavoro interinale a Bucarest, da cui prelevarli e distaccarli sulla base di un contratto di diritto rumeno, basato su stipendi più contenuti e di contribuzione previdenziale azzerata.

Ci dobbiamo ricordare di tutti quei serbatoi di manodopera, celati spesso dietro cooperative fittizie, create per schermare i rapporti di lavoro con la società committente e sfruttare all’inverosimile facchini o magazzinieri.

Ci dobbiamo ricordare di quelle società che, in piena Pianura Padana, erano in grado di imporre ai propri dipendenti massacranti turni di lavoro sui camion di 18-20 ore, con la minaccia – per chi si rifiutava – di vedersi decurtare la paga o peggio ancora di essere licenziato.

Ci dobbiamo ricordare di tutti quei casi in cui una qualche forma di intelligenza è arrivata a cancellare nelle pieghe del profitto le esigenze del lavoro o ad attuare dinamiche imprenditoriali per cui chi intermedia guadagna e chi si assume i rischi della strada è costretto, in quanto privo di margini, a risparmiare sulla sicurezza, innalzando il rischio di incidenti.

Paradossalmente, al cospetto di cotante scempiaggini, appaiono più umani quei robot o quegli esoscheletri che migliorano l’ergonomia di chi lavora fornendo un sostegno attivo.

D’altra parte non c’è da stupirsi: alla fine è sempre l’uomo al centro di tutto, è lui a concepire il modo di organizzare il suo lavoro e quello con cui utilizzare la tecnologia che sviluppa. Quindi, ci saranno sempre i finti progressisti senza scrupoli e, accanto a loro, quelli che – come scrive Damiano Frosi – riusciranno a «combinare la potenza dell’intelligenza» – artificiale o suppletiva che sia – «con una visione etica e partecipativa». Coloro cioè che trarranno dall’incontro con il progresso l’occasione per progredire a tutto tondo.

Questo articolo fa parte del numero di maggio/giugno 2025 di Uomini e Trasporti: un numero che contiene un’ampia inchiesta sui vantaggi di lavorare con l’intelligenza artificiale nel settore dell’autotrasporto, con numeri, scenari e voci dal settore.

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