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Rimborso accise: compensare in anticipo il credito di imposta maturato espone comunque a sanzioni

Un’azienda di autotrasporto utilizza in compensazione il credito di imposta derivante dall'agevolazione fiscale riconosciuta per gli acquisti di carburante prima dei 60 giorni di tempo richiesti dall'istituto del «silenzio-assenso». L’Agenzia delle Dogana, verificata la cosa, la multa pesantemente e a quel punto la stessa azienda presenta ricorso sostenendo che la violazione commessa è soltanto formale, in quanto non produce danni all’Erario. I giudici dei primi due gradi le danno ragione, ma la Cassazione arriva a conclusioni del tutto opposte. Ecco perché 

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Le aziende di autotrasporto hanno diritto, rispetto ai rifornimenti carburante (sia di gasolio sia di HVO) dei camion almeno euro 5 e con massa complessiva pari o superiore alle 7,5 tonnellate, a ottenere un rimborso che può prendere la forma sia di un credito di imposta da compensare, sia della restituzione in denaro. Chi sceglie la prima strada, però, deve comunque, prima di utilizzare la compensazione, attendere 60 giorni, vale a dire il termine utile per la formazione del silenzio-assenso di cui all’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000. Cosa succede se non lo fa? La risposta si trova nell’ordinanza numero 21542 del 27 luglio 2025 della Corte di Cassazione che analizziamo questa settimana.

IL FATTO

Un’azienda di autotrasporto matura un credito di imposta derivante dai rimborsi delle accise sul gasolio per complessivi 233.449,91 euro. Senza attendere i 60 giorni utili a far maturare il silenzio-assenso dell’amministrazione, li utilizza in compensazione. L’Agenzia delle Dogane rileva l’attività e sanziona l’azienda per 13.180,68 euro. L’azienda non ci sta e presenta ricorso sostenendo che in realtà la compensazione si basava su un credito esistente e che quindi la violazione era soltanto formale, in quanto non aveva prodotto danni per le casse dello Stato. Tesi effettivamente accolta sia dal CTP di Pisa con sentenza n. 126/03/2020, sia dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, investita dall’appello proposto dall’amministrazione finanziaria. 

L’Agenzia delle Dogane a quel punto impugna in Cassazione, dove invece il giudizio viene completamente ribaltato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Secondo la Cassazione la tesi della violazione meramente formale non può essere accolta, perché non tiene conto di alcune conseguenze verificatesi nella realtà. La Corte, infatti, ricorda che se è vero che il credito messo in compensazione è effettivo, è anche vero che nel momento in cui viene compensato anticipatamente comporta per lo Stato un mancato incasso alla scadenza di altri tributi. La violazione, invece, può essere considerata «meramente formale» soltanto se non produce alcuna conseguenza sia rispetto all’entità del tributo sia rispetto ad attività di controllo. Le violazioni formali, invece, seppure non incidono sul contributo, finiscono per creare un pregiudizio all’attività di controllo. Le violazioni sostanziali, infine, vanno ad intaccare la quantificazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento. Cosa che, secondo la Corte, avviene quando si usa anticipatamente una compensazione. Per arrivare a tale conclusione la Cassazione analizza il tipo di danno sofferto dall’Erario e lo individua come un deficit di cassa temporaneo, in quanto lo Stato stesso non incassa alla scadenza i tributi che l’azienda ha messo in compensazione anticipatamente. Quindi un danno soltanto temporaneo, ma comunque concreto.

Al riguardo la Corte che la valutazione con cui distinguere le violazioni formali da quelle meramente formali «deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento» (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 28938 del 17 dicembre 2020, Rv. 659970-02) e, dunque, deve essere effettuato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato alla fattispecie giuridica cui va ricondotta la specifica trasgressione. Invece, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali «è necessario accertare in concreto se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo» (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 16450 del 10 giugno 2021, Rv. 661603-01).

Per suffragare una tale conclusione la Cassazione ha richiamato la propria posizione relativa alle agevolazioni fiscali, istituto eccezionale e quindi puntellato da precise procedure formali, quale appunto l’attesa dei 60 giorni che servono per la maturazione del silenzio-assenso. Ma questo tempo, sottolinea la Corte, è quello che in realtà serve effettivamente all’amministrazione per poter esercitare i controlli prima che il credito maturato possa essere utilizzato. Compensarlo prima non consente all’Agenzia delle Dogane di poter svolgere l’attività di controllo e quindi finisce per ostacolare il regolare flusso delle entrate e per giustificare la sanzione contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.

LE CONSEGUENZE

La lezione di questa ordinanza è molto netto: compensare un credito, seppure certo, prima del tempo necessario a rendere possibile un controllo amministrativo, espone a sanzione. E quindi va comunque evitato perché finisce per vanificare una procedura che poggia su precise ragioni sostanziali. Perché il Fisco, in questo modo, incassa i tributi messi in compensazione con un qualche ritardo e quindi si crea nelle casse erariali un danno consistente in un ammanco, reale seppure temporaneo.

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