
Cosa ti ha fatto salire sul camion?
È stata una questione di famiglia. Mio padre ha fatto l’autista per tutta la vita, da dipendente, e da lui ho preso la passione. Ho iniziato nel 2004, prima con il movimento terra, poi mi sono spostato sulle cisterne. Ho trasportato carburanti, ora invece lavoro nel settore chimico: prodotti per aziende farmaceutiche, detersivi… insomma, trasporto ADR praticamente da sempre.
Com’è nata la decisione di metterti in proprio?
È stato un salto necessario. Lavorare alle dipendenze, con certe logistiche gestite da persone impreparate, era diventato pesante. Mi sentivo schiacciato, arrivato al limite: o lasciavo il camion o provavo a cambiare. Alla fine ho scelto la seconda. Grazie al supporto del mio commercialista, del presidente di una banca che mi ha concesso un finanziamento agevolato per l’acquisto di un camion e soprattutto del presidente del consorzio CAAP di Piacenza, che ha voluto darmi fiducia e mi ha aperto le porte a questa nuova avventura, mi sono lanciato. E non me ne sono mai pentito. Adesso gestisco il mio lavoro, ho trovato tranquillità.



Hai accennato allo stress: quanto incide sulla tua salute?
Tanto. In passato ho avuto problemi seri causati proprio dallo stress accumulato sul lavoro. A un certo punto stavo così male che la mia gastroenterologa mi diceva: «Molla tutto, questo lavoro ti sta distruggendo». E in effetti ero arrivato a un passo dal farlo. Poi però ho pensato: il camion è la mia passione, non voglio lasciarlo. Così ho cambiato approccio: sono passato da dipendente a padroncino e adesso sto meglio, anche fisicamente. E vivo con più serenità.
Quali criticità vorresti vedere risolte nel settore?
Una su tutte: la burocrazia. Nei punti di scarico spesso perdiamo più tempo con i documenti che con il lavoro vero e proprio. Ti faccio un esempio: stamattina a Mantova ho scaricato il materiale in 20 minuti, ma ci sono voluti altri 50 solo di burocrazia. E non parliamo poi dei servizi igienici. A volte ci trattano peggio degli animali: bagni inaccessibili, oppure quelli chimici sotto il sole cocente. Una situazione davvero umiliante.

Come riesci a conciliare lavoro e famiglia?
Non è facile, ma ci provo. Parto da Piacenza e lavoro soprattutto nel Nord Italia, però ogni mese o mese e mezzo cerco di scendere giù in Calabria, dove ho le mie radici. La mia famiglia è ancora lì, in provincia di Catanzaro. Sono sposato e ho due fi gli, uno di 13 e una di 16 anni. Quando non riesco io a scendere, salgono loro. L’obiettivo però è riunirci tutti a Piacenza, magari dopo il diploma di mia fi glia, così potrà fare l’università qui.
E tuo figlio? Ha ereditato la tua passione?
Più di me! È già pazzo dei camion. Se un domani vorrà seguire le mie orme, spero di potergli lasciare un’attività più dignitosa di quella che ho vissuto io fino a due anni fa. Mio nonno, mio padre, io e ora forse lui: potrebbe essere la quarta generazione al volante.
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