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EDITORIALE | Stato: se ci sei, batti un colpo!

I camion elettrici non inquinano. Ma una normale azienda di autotrasporto non è in grado di acquistarli. Dovrebbe finanziarli lo Stato, mirando peraltro a un lungo elenco di possibili ritorni. Oppure sempre lo Stato dovrebbe vincere la battaglia sui biocarburanti. Terza via non c’è…

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Sono abbastanza sicuro che non esista un mezzo meno inquinante di un veicolo elettrico alimentato a batteria, ricaricata con energia prodotta da fonti rinnovabili. Ma sono ugualmente certo che una media azienda italiana – ma anche molte di quelle grandi, spesso simili a ingombranti piedistalli sorretti da piccoli piedi di cristallo – non sia assolutamente in condizione di acquistare un camion di questo tipo. Non è un ragionamento tecnologico, né anti ambientalista, ma soltanto un’evidenza economica: un’azienda che attende ogni anno all’incirca dodicimila euro tra rimborsi per spese non documentate e altri contributi statali per chiudere in nero un bilancio altrimenti in rosso e che fattura ogni mese con un camion intorno ai diecimila euro con un margine che quasi mai supera il 3 per cento, non può permettersi di spendere 400 mila euro per un trattore elettrico e circa 80 mila per una colonnina di ricarica adeguata. Prova ne sia che nel 2022 di questi veicoli ne sono stati immatricolati 19. Praticamente niente, malgrado l’offerta di prodotto esista e diventi sempre più articolata.

Stando così le cose per contenere le emissioni da trasporto pesante ci possono essere soltanto due strade: o ci si accontenta di veicoli con motori diesel di ultima generazione alimentati con i più evoluti biocarburanti oppure bisogna che sia lo Stato a finanziare l’acquisto dei camion elettrici, almeno per la parte che eccede il prezzo di un corrispondente veicolo diesel. Certo, una politica di questo tipo richiederebbe un esborso considerevole, pari, secondo uno studio Motus-E realizzato da FIT Consulting, a 6,6 miliardi, necessari soltanto per incentivare l’80% della differenza di prezzo tra veicoli diesel e veicoli elettrici e soltanto per spingere le immatricolazioni dei secondi a quasi il 69% da qui al 2030. Poi, ci sarebbero da aggiungere i miliardi necessari a realizzare le infrastrutture di ricarica. Perché senza questo secondo investimento, il primo risulterebbe completamente inutile: nessuno accetterebbe neppure in regalo un camion elettrico senza disporre di un punto in cui poter fare il pieno di energia.

Soldi pubblici per una sfida pubblica: qui, infatti, è in gioco la qualità dell’aria che tutti respirano e, quindi, è giusto che tutti, con soldi statali, contribuiscano a pulirla. In ogni caso sarebbe un investimento. Perché, oltre ai benefici provenienti dall’iva delle vendite e dall’indotto generato dalla produzione dei veicoli e della relativa componentistica, ci sarebbero da quantificare i ritorni generati dalla riduzione della spesa sanitaria pubblica, conseguente alla riduzione delle malattie respiratorie e dei tumori correlati, e dal taglio della spesa emergenziale con cui fronteggiare le conseguenze dei fenomeni climalteranti, ormai tristemente presente – e in misura crescente – nei bilanci di ogni Stato.

Questa sarebbe la strada maestra, quella che peraltro stanno battendo con più o meno decisione molti paesi europei. Ma se non ci fossero le condizioni finanziarie o la volontà politica di investire così tanto sul medio-lungo termine (dimensione temporale, questa, estranea alle normali logiche elettorali), allora diventa obbligatorio battere l’altra via. Nel senso che l’Italia dovrebbe vincere a tutti i costi in Europa la partita sui biocarburanti, prolungando la vita dei motori endotermici nella loro versione meno inquinante possibile.

Terza via non è data. Anche perché se l’autotrasporto italiano non fosse finanziariamente in condizione di acquistare camion elettrici e normativamente non potesse utilizzare biocarburanti, a quel punto, siccome non produce pantaloni alla zuava (di cui potremmo tranquillamente fare a meno), ma fornisce necessari servizi di movimentazione delle merci, dovrebbe essere il sistema economico – come sostiene il presidente di UETR, Julio Villaescusa – a doversi porre il problema di come garantirli altrimenti. E magari per la prima volta sarebbe costretto a considerare il trasporto e la logistica non come mali necessari, ma come insopprimibili fattori strategici. Ma di questo non sono affatto sicuro.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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