Ci sono stati momenti di tensione e anche qualche contatto nei giorni scorsi tra gli autisti della Martinelli, l’azienda di autotrasporto della provincia di Trento (per la precisione Maranidi di Ala), in concordato preventivo dallo scorso ottobre, e agenti di polizia. Ma i forconi e il movimento del 9 dicembre in questo caso non c’entrano. All’origine degli scontri infatti c’è un’altra vicenda. Gli autisti in protesta, infatti, sono quelli che appartengono al Sindacato Multicategoriale di Base, che ha rifiutato di firmare la cassa integrazione, sottoscritta invece dai sindacati confederali. Il problema, però, secondo quanto riferisce lo stesso Sindacato, è che diversi autisti nei giorni scorsi avrebbero ricevuto delle lettere di licenziamento individuale. Guarda caso, proprio quelli maggiormente coinvolti nelle manifestazioni organizzate negli ultimi mesi in azienda. In più siccome i lavoratori contestano anche il fatto che, in questa fase, l’azienda si sarebbe rivolta ad altri autisti per portare avanti l’attività, nei giorni scorsi gli stessi «vecchi» autisti hanno pensato di bloccare il traffico in uscita dai cancelli dell’impresa sdraiandosi sul piazzale. A quel punto sono intervenute le forze dell’ordine per costringerli rimuovere il presidio e a far passare i veicoli.
Nella nota diffusa dal Sindacato si torna a denunciare il lease back con cui lo stabilimento di 31 mila metri quadri dell’azienda venne acquistato da Trentino Sviluppo con l’apporto determinante della Provincia di Trento per un importo di 12 milioni, con contestuale contratto di leasing per rivenderlo alla stessa Martinelli. La giustificazione di questa operazione venne indicata da parte della Giunta nella salvaguardia di livelli occupazionali.
In realtà – scrive adesso il Sindacato – «il lease-back non sarebbe servito a garantire i posti di lavoro, ma a salvare una cassa rurale. Un istituto di credito che si era esposto in misura eccessiva con la Martinelli (pare oltre 8 milioni di euro) e che avrebbe rischiato il default se non fossero arrivati i soldi pubblici».