Uno dei problemi dell’attuale informazione è il fatto che chiunque scriva di un argomento senza averne cognizione pensi di padroneggiare la materia come chi è nel settore dalle calende greche. Ne escono fuori articoli imbarazzanti, anche da testate serie come il Corriere della Sera. Sul Corriere.it di oggi si afferma infatti che il crollo del ponte Morandi è da attribuirsi per gli investigatori al passaggio di un camion (anzi di un “supercamion”, manco fosse un autotreno australiano da 175 ton) che avrebbe dato il colpo di grazia alla struttura. Ma poi, leggendo l’articolo, si scopre che il peso del veicolo era assolutamente in regola (440 quintali) e che quindi i motivi reali andrebbero cercati da altre parti. Del resto il camion incriminato, era il famoso FIAT Stralis – come riporta il cronista – che deve essere un mezzo di nuova fabbricazione, ma prodotto dalla vecchia industria di Torino al posto di quello dell’Iveco. Inezie, certo, però un po’ più di precisione…
Anche perché imprecisioni come queste – anzi vogliamo dirlo? Errori imperdonabili – sono pericolosissime perché poi, amplificate dai vari organi di informazione generalista e online che vivono di «copia e incolla», alimentano la lista delle fake news e i soliti insopportabili luoghi comuni, come quello storico che qualsiasi incidente grave sulle strade italiane sia colpa dei camion. Tant’è vero che dopo poco, in un altro sito si ripete l’equivoco. «La nuova ipotesi degli investigatori, oggi su alcuni giornali – si legge – è da brividi. A dare il colpo di grazia al ponte Morandi già malato, con gli stralli deformati e l’acciaio al limite della tenuta, potrebbe essere stato un autoarticolato. Un camion ben preciso: il Fiat Stralis della Mcm autotrasporti di Novi Ligure, precipitato nel vuoto assieme alle altre autovetture, il cui autista è sopravvissuto», mentre nel sommario si parla ancora di «camion troppo pesante». E grazie a Dio che almeno utilizzano il condizionale….
Qual è allora la verità? Molto semplice: i camion viaggiono oggi più di quanto viaggiavano ieri. Un po’ perché l’economia del paese, dai tempi in cui l’ingegner Morandi costruì il ponte del disastro, è andata avanti. Un po’ perché, almeno in Italia, le altre modalità di trasporto latitano. E non certo per colpa dell’autotrasporto. Fa bene quindi il vicepresidente di Conftrasporto, Paolo Uggé, a esprimere il suo disaccordo nei confronti di chi parla di «furiosa» espansione dell’autotrasporto e a dire senza mezzi termini: «Come se esistessero alternative modali non percorse per capriccio, cattiva volontà o interesse. Casomai è l’assenza di una politica di sistema che sappia dare le adeguate risposte alle esigenze del nuovo modo di produrre, passato dagli stock ai flussi, che induce a scegliere la modalità stradale rispetto ad altre. Se i porti non sono permeabili e se le ferrovie non garantiscono la necessaria funzionalità, la merce sceglie il mezzo più efficace».