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La strada pericolosa causa un incidente? Il gestore è responsabile

Il Tribunale di Reggio Emilia ha sancito che nel caso in cui un sinistro sia stato provocato dalle condizioni stradali fuori norma – come nel caso in esame un dislivello tra il piano campagna e la sottostante banchina – la responsabilità è imputabile al proprietario del tratto stradale incriminato, anche se il conducente ha tenuto una condotta imprudente e illegittima (eccesso di velocità)

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Oggi ci occupiamo di incidenti causati da un problema nel manto stradale e lo facciamo con una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia – la n. 94/2023 del 25 gennaio 2023 – che ha esaminato con puntualità i vari aspetti relativi alle colpe nel caso di sinistri di questo tipo.

IL FATTO

Un’azienda di trasporto ha citato in giudizio l’ente proprietario della SP 48 per i danni, patrimoniali e non, subiti a causa di un incidente occorso a un suo autista. Questi si trovava alla guida di un trattore stradale di proprietà della società e, percorrendo la SP n. 48, le ruote destre dell’automezzo uscivano dalla carreggiata, facendo precipitare il trattore stradale sul sottostante piano campagna, dopo aver lasciato una traccia di frenata di 27 metri. L’azienda riteneva che l’evento fosse imputabile alle condizioni della strada, considerato che «il margine della carreggiata non era … raccordato alla banchina, la linea bianca delimitatrice era posta sul margine estremo e la banchina si trovava ad altezza inferiore rispetto al piano della carreggiata di circa 20-25 cm».
Nell’uscita di strada il conducente riportava la frattura e lussazione del femore destro, nonché ferite al capo. Post sinistro l’autista veniva sottoposto a intervento chirurgico di sostituzione totale dell’anca ed era costretto a un periodo di terapia riabilitativa e convalescenza, con conseguenti costi per le spese mediche e riduzione del reddito da lavoro. A sua volta – sempre secondo l’attore – la società subiva danni materiali all’automezzo, un veicolo speciale adibito a carichi eccezionali, e inoltre lamentava anche danni patrimoniali e di perdita di competitività per il mancato apporto lavorativo del conducente e di disponibilità del trattore stradale, talmente gravi da rendere necessaria la messa in liquidazione dell’impresa stessa.
Secondo l’azienda di trasporto era perciò l’Ente locale responsabile dell’incidente per l’irregolare e pericolosa sopraelevazione del manto stradale, l’assenza di banchina e di segnaletica di pericolo, la presenza di vegetazione che occultava il problema. Solo dopo l’incidente – si segnalava in aggiunta – l’ente tutore della strada aveva provveduto al rifacimento della banchina e del ciglio stradale, alla tombatura del fossato con eliminazione del dislivello esistente, all’installazione di guardrail e alla collocazione di segnaletica di pericolo, nonché al posizionamento di delimitatori di margine. Con queste azioni – sosteneva la parte attrice – avrebbe indirettamente riconosciuto la propria responsabilità per questo e altri incidenti nel medesimo posto, alcuni riportati dalla stampa locale.
Da parte sua l’Ente convenuto declinava ogni responsabilità, affermando che la causa del sinistro non poteva essere individuata nello stato della strada, bensì nel comportamento negligente e imprudente del camionista, che perdeva il controllo del veicolo per evitare l’impatto con un altro camion, mentre transitava al di sopra dei limiti di velocità consentiti. Inoltre – sottolineava il gestore – l’incidente si era verificato alle 7.00 in condizioni di visibilità ottimali, quando le caratteristiche della banchina risultavano perfettamente percepibili e ricavabili dai cartelli che avvertivano sia della presenza della banchina che della curva verso sinistra.

LA DECISIONE

Nonostante queste contro argomentazioni il Tribunale reggiano ha considerato la domanda fondata e l’ha accolta, pur con qualche limitazione.
Innanzitutto, la giudice emiliana ha spiegato che, secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, alla Pubblica Amministrazione è applicabile la disciplina della responsabilità per danni da cose in custodia anche per danni cagionati agli utenti dei beni demaniali, come le strade pubbliche.
In sintesi, la Corte Suprema spiega che, laddove la situazione di pericolo sia stata ingenerata da caratteristiche intrinseche alla struttura del bene e dunque da fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode – come ad esempio il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, la segnaletica contraddittoria o ingannevole – sarà configurabile la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., sussistendo in capo alla PA un obbligo di controllo e di manutenzione del bene demaniale.
Procedendo alla corretta ricostruzione dello stato del tratto di strada interessato dal sinistro, poi, nella perizia disposta dal tribunale lungo la provinciale extraurbana 48, il CTU (consulente tecnico unico) accertava che le condizioni individuate con il sopralluogo differivano da quelle sussistenti il giorno dell’incidente. Infatti, a seguito del sinistro erano state eseguite –come detto – la tombatura del fossato e l’installazione sul posto di un guard-rail, con scomparsa «del netto dislivello di circa 20 cm esistente fra il piano di calpestio ed il sottostante piano campagna, proprio in corrispondenza della banchina erbosa posta oltre la linea di margine delimitante la carreggiata».
D’altro canto la frenata di 27 metri riscontrata con le tracce sull’asfalto indicava secondo la perizia una velocità del mezzo di 76 km/h, nettamente superiore ai 50 km/h previsti nel tratto. Infine, al momento dell’incidente il cielo era sereno, il fondo stradale asciutto, la visibilità buona. L’eccessiva velocità veniva contestata dall’azienda, ma invece accolta dal giudice.
Tuttavia, dalle testimonianze rese, dal rapporto di incidente stradale e dalle perizie effettuate, la causa della perdita di controllo del mezzo pesante, alla fine, andava secondo il Tribunale ravvisata nelle peculiari condizioni del tratto stradale in esame e non erano «imputabili a un fattore estrinseco, imprevedibile e impossibile da eliminare e tale da integrare il caso fortuito, ma anzi erano determinate proprio dalla condotta attiva dell’Ente» che, nell’eseguire l’asfaltatura del tratto stradale nel 2019, aveva aumentato il dislivello senza operare il necessario adeguamento della banchina.
In altre parole il tratto stradale in cui si è verificato il sinistro presentava un notevole dislivello tra il piano di calpestio della carreggiata e la sottostante banchina e tale situazione di notevole pericolosità, dimostrata anche dai numerosi incidenti verificatisi nel periodo precedente al sinistro e riportati dalla stampa locale, «era ben nota all’amministrazione convenuta e da questa evitabile mediante la regolare realizzazione della banchina e comunque correggibile successivamente».
Pur considerando la velocità tenuta dall’autocarro e le tracce di frenata rinvenute sul manto stradale, «l’uscita di strada del mezzo sarebbe avvenuta egualmente, anche se avrebbe determinato diverse e minori conseguenze dannose, potendo l’autista ancora controllare la guida del mezzo su una strada dotata di adeguata e regolare banchina».
In sintesi la strada, al momento del verificarsi del sinistro, era pericolosa per il dislivello ed è questa la causa determinante la perdita di controllo del veicolo in transito e, di conseguenza, lo sbandamento del mezzo e il suo rovesciamento. Il gestore non poteva non sapere delle condizioni di particolare pericolosità del tratto stradale in ragione dei numerosi incidenti ivi verificati, riportati dalla stampa locale. «Tale conoscenza diretta della sussistenza della fonte di pericolo – accusa il tribunale – avrebbe imposto un pronto ed adeguato intervento, non risultando sufficiente la mera istituzione del limite di velocità di 50 km/h e l’installazione di segnaletica orizzontale».
L’ente è insomma responsabile e, a differenza di quanto da esso affermato, la velocità eccessiva non costituisce l’unica causa che abbia determinato l’evento dannoso. Però il comportamento alla guida integra un concorso di colpa che diminuisce la responsabilità della PA nella misura del 25%.

LE CONSEGUENZE

La giudice reggiana ha poi quantificato i danni. L’autista per l’incidente aveva infatti subito un trauma cranico non commotivo, una frattura-lussazione del femore destro e contusioni multiple. Questo danno biologico permanente è stato risarcito, comprendendo nella somma anche il danno morale legato alla sofferenza per la lesione, con la necessità di doversi sottoporre a numerosi accertamenti e visite specialistiche.
Quanto al danno ulteriore da riduzione della capacità lavorativa, il CTU ha accertato che i postumi permanenti, consistenti in dolore e limitazione funzionale all’anca destra protesizzata, incidono anche sulla capacità lavorativa per attività che comportino l’uso protratto dell’arto inferiore destro e/o il perdurante mantenimento della posizione seduta. Quindi è stata liquidata un’ulteriore somma al riguardo, con la detrazione del 25%, in applicazione del concorso di colpa del danneggiato.
All’attore spetta inoltre il risarcimento delle spese sanitarie e di quelle del perito di parte, da rimborsare anche qui nella misura del 75%, detratto il 25% per il concorso di colpa. Quanto all’indennizzo del danno patrimoniale per la riduzione del patrimonio di famiglia, limitato al 2019 (non vi è prova di una riduzione negli anni successivi), la giudice ritiene che lo stesso sia stato già liquidato «mediante la personalizzazione massima del danno biologico».
Vanno ugualmente risarcite le spese sostenute dall’azienda per la riparazione del veicolo incidentato, anche se a detto importo va applicata la solita riduzione del 25%.
Infine la società attrice lamenta un «pregiudizio a titolo di lucro cessante», sostenendo che abbia patito un mancato guadagno per effetto dell’inutilizzabilità del veicolo incidentato e della convalescenza del conducente. L’organo giudicante sottolinea l’esistenza di un ulteriore veicolo speciale per i trasporti fuori sagoma, sebbene non funzionante, e che, in ogni caso, la società non ha dato dimostrazione né della circostanza che il mezzo coinvolto nell’incidente fosse indispensabile per la prosecuzione delle attività dell’impresa, né dell’infungibilità della prestazione lavorativa dell’infortunato, rigettando la conseguente domanda.
In conclusione, il gestore della SP 48 è stato condannato al pagamento per danno biologico, con rivalutazione e interessi legali, per le spese mediche e per il danno patrimoniale. La somma liquidata in favore dell’attore è però stata inferiore a quanto dallo stesso chiesto in ragione del riconoscimento del concorso colposo del danneggiato nella misura del 25%.

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