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Quando si dice…COSTI DI RIFERIMENTO

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Lo scorso 27 novembre il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dopo un’attesa di quasi sette anni, ha pubblicato le tabelle contenenti i «valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto per conto terzi». Il provvedimento è stato salutato con favore dal mondo dell’autotrasporto, anche se da più parti ci si è interrogati su quali potrebbero essere le sue effettive conseguenze pratiche nell’influenzare le dinamiche contrattuali che caratterizzano i rapporti fra committenza e autotrasportatori.

In che modo i costi di riferimento possono condizionare le relazioni contrattuali nell’autotrasporto?

Per dare una risposta a tale quesito, occorre tornare a ripercorrere brevemente l’iter che ha portato alla (travagliata) gestazione delle tabelle contenenti i costi di riferimento. Con l’art. 1, comma 450, della L. 23 dicembre 2014 venne abrogato il sistema dei costi minimi di sicurezza e il comma 4 dell’art. 83bis del D.L. 112/2008 (ossia la norma che aveva introdotto il sistema dei costi minimi) venne riformulato stabilendo che nel contratto di trasporto «i prezzi e le condizioni sono rimesse all’autonomia negoziale delle parti». La nuova liberalizzazione tariffaria è, tuttavia, stata sottoposta a un limite, anch’esso introdotto con la nuova formulazione dell’art. 83bis, consistente nella necessità che nella negoziazione fra le parti sia «tenuto conto dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale». Tuttavia, in mancanza di qualsivoglia parametro di riferimento, tale inciso finale della norma è stato, sino ad oggi, considerato alla stregua di una mera dichiarazione di principio del tutto priva di effetti pratici. La pubblicazione delle tabelle contenenti i costi di riferimento cambia completamente la prospettiva: si è, infatti, introdotto un nuovo parametro di riferimento che consente di riempire di contenuti la dichiarazione di principio secondo cui le tariffe dei contratti di trasporto possono essere liberamente negoziate, ancorché nel rispetto dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale.

Quando l’esecuzione di un trasporto può violare i principi di sicurezza stradale e sociale?

La stretta correlazione fra la pubblicazione dei costi di riferimento e la necessità di individuare un oggettivo parametro di riferimento, con cui poter stabilire il perimetro entro il quale la libera negoziazione dei noli possa considerarsi lecita, è confermata anche dal Direttore Generale del MIT: nel decreto del 27 novembre, infatti, si è espressamente chiarito che la pubblicazione delle tabelle risponde alla «esigenza di garantire che le relative operazioni si svolgano nel rispetto delle norme sulla sicurezza della circolazione stradale assicurando che il corrispettivo a favore dell’impresa di autotrasporto non possa essere convenuto in spregio all’osservanza di parametri di sicurezza indispensabili per il corretto esercizio dell’attività di trasporto di cose». Alla luce delle considerazioni sopra svolte, appare dunque possibile affermare che un trasporto eseguito a condizioni economiche sensibilmente inferiori rispetto a quelle indicate nelle tabelle di recente pubblicazione è un trasporto potenzialmente eseguito in violazione dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale.

Con quali conseguenza pratiche?

Una prima conseguenza potrebbe configurarsi sul piano privatistico: l’art. 4, comma 2, del D.lgs 286/2005 stabilisce che «sono nulle le clausole dei contratti di trasporto che comportano modalità e condizioni di esecuzione delle prestazioni contrarie alle norme sulla circolazione stradale». Potrebbe, quindi, configurarsi la nullità della clausola contrattuale che prevedesse il riconoscimento di tariffe (sensibilmente) inferiore a quanto indicato nelle tabelle pubblicate dal MIT e la sua possibile sostituzione, da parte di un giudice al quale fosse sottoposta la controversia, con le tariffe minime indicate nelle richiamate tabelle.

Il mancato riconoscimento al vettore dei costi di riferimento potrebbe incidere sull’ampliamento dei casi di responsabilità condivisa?

L’intero impianto del D.lgs 286/2005 è ispirato alla liberalizzazione del sistema tariffario, mitigata, però, dall’introduzione di un principio di responsabilità condivisa in capo agli interessati al carico in caso di affidamento di trasporti a condizioni che non garantiscano il rispetto della sicurezza stradale. In particolare, l’art. 7 del D.lgs 286/05, al comma 1, stabilisce che nell’effettuazione del trasporto il vettore «è tenuto al rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari poste a tutela della sicurezza stradale e della sicurezza sociale». Nei commi successivi, la norma introduce una serie di ipotesi al ricorrere delle quali anche committente, caricatore e proprietario della merce debbano rispondere in solido con il vettore in caso di violazione delle norme in materia di sicurezza stradale e sociale. Il mancato riconoscimento al vettore dei costi di riferimento pubblicati dal MIT potrebbe senz’altro rappresentare circostanza idonea ad ampliare la casistica sin qui conosciuta delle ipotesi di responsabilità condivisa.

«Potrebbe, quindi, configurarsi la nullità della clausola contrattuale che prevedesse il riconoscimento di tariffe (sensibilmente) inferiore a quanto indicato nelle tabelle pubblicate dal MIT»

Massimo Campailla
Massimo Campailla
Avvocato senior partner Studio Zunarelli
Scrivete a Massimo Campailla: parolediritte@uominietrasporti.it

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