I consumi di carburanti a marzo, stando alle rilevazioni del ministero dello Sviluppo Economico elaborati dal Centro Studi Promotor, segnano una doppia flessione. Più precisamente sommando quelli della benzina a quelli del gasolio la flessione è pari a un -3,7% rispetto allo stesso periodo del 2013. Non è ovviamente un segnale positivo, visto che la minore circolazione è il frutto del rallentamento dei traffici, peraltro già in caduta lo scorso anno. In più sulla spesa questo dato assume proporzioni ancora maggiori, in quanto rispetto a un anno fa il prezzo del gasolio risulta diminuito del 3,84%, passando (includendo nella spesa l’insieme dei carburanti) passando in termini assoluti da 5,467 miliardi del marzo 2013 a 5,047 del marzo 2014. In pratica, gli italiani hanno speso in carburante 420 milioni in meno, pari al 7,7%. Tutto ciò ha fatto entrare nelle casse dello Stato circa 111 milioni in meno, che se calcolati rispetto a un solo mese non è poca cosa.
Secondo il presidente di Fai-Conftrasporto, Paolo Uggè, dietro questi numeri, almeno per ciò che riguarda l’autotrasporto, non c’è però soltanto un calo dell’attività. Molto dipenderebbe anche «dal fatto che molte imprese scelgono, per altre ragioni (meno burocrazia, costo del lavoro, ecc.) di spostarsi in altri paesi».
Uggè mette quindi colonna i danni che questa fuga verso l’estero sta producendo in termini economici, perché alla contrazione delle entrate fiscali derivanti dai consumi di gasolio, bisogna anche aggiungere quelli relativi alla minore contribuzione sociale. Insomma, senza che nessuno se ne accorga, la delocalizzazione sta producendo buchi sui nostri conti pubblici, in alcuni casi con evidenza immediata, in altri con evidenza differita. Tra qualche anno, cioè, se il fenomeno dovesse continuare con i ritmi attuali, l’INPS si troverà dei bilanci ridotti a un colabrodo. E pagare le pensioni potrebbe diventare un problema…
E il fenomeno potrebbe ancora peggiorare – conclude Uggè – se il governo dovesse continuare nel proposito di aumentare le accise. Perché se le aziende scappano per le troppe tasse, un aumento impositivo incrementerebbe le fughe. E a quel punto una misura presa per uno scopo (aumentare le entrate), ne sortirebbe uno completamente opposto (farle diminuire).