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Accadde oggi: 22 febbraio 1987, la protesta del secolo dei camionisti

Benzina introvabile, case al freddo, scorte dimezzate e alimentari alle stelle. Ma anche fucilate contro chi non scioperava e un diffuso clima di tensione. Così i giornali dell’epoca dipinsero l'Italia durante uno dei più importanti scioperi degli autotrasportatori del secolo scorso. Che richiedevano una ristrutturazione del sistema dei trasporti, il riconoscimento dello stato di crisi del settore e interventi economico-giuridici. Su tutti, l’aumento delle tariffe e l’innalzamento dei limiti di velocità sulle autostrade. A distanza di 37 anni da quell’evento, riavvolgiamo il nastro del tempo per rievocare quei giorni

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È domenica 22 febbraio 1987. L’Italia di quel giorno festivo si preparava a vivere una lunga settimana di disagi, di scarsità di materie prime, di scorte alimentari e di carburanti. Quel giorno iniziò infatti uno dei più importanti fermi della storia dell’autotrasporto. Al punto che il ministro dei Trasporti dell’epoca, Claudio Signorile, lo definì come «sufficiente a determinare una situazione da emergenza bellica». Oggi, esattamente trentasette anni dopo, ripercorriamo la storia di quei giorni che accesero di passione il Paese.

Il contesto storico

In quei giorni l’Italia si trovava nel pieno di una crisi di governo. L’allora premier Bettino Craxi fu al centro di un tiro incrociato di accuse e polemiche, anche di carattere internazionale, tra cui quella per il clamoroso «strappo» dell’Italia al vertice del G7, che si svolse a Parigi proprio il 22 febbraio 1987. Craxi, infatti, rifiutò di prendere parte all’incontro per il fatto che l’Italia non era stata ammessa alla riunione preliminare, ristretta soltanto a Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna. Lo strappo diplomatico si ricucì solo alcuni giorni dopo con l’arrivo a Roma del presidente della Repubblica francese François Mitterrand, che con una stretta di mano davanti alle telecamere di tutto il mondo sancì il ristabilito patto di collaborazione del G7. Il resto è storia: pochi giorni dopo, il 3 marzo, Craxi presentò le dimissioni del suo governo, tra i più lunghi della storia repubblicana, dando il via alla fase discendente della sua parabola politica che sfociò in Tangentopoli.

Da sinistra: Francois Mitterand e Bettino Craxi alla sede del Partito socialista italiano. Foto d’archivio (credits GiacominoFoto/Fotogramma) presa da it.wikipedia.org/wiki/File:Craxi-Mitterand-sedePSI.jpg

A chi non c’era nel febbraio del 1987 forse verrà la curiosità di sapere anche cos’altro successe in Italia e nel mondo. Era il periodo in cui Gorbaciov iniziò il suo processo di smantellamento della Cortina di ferro, annunciando che l’Unione Sovietica era pronta a sottoscrivere un’intesa per l’eliminazione reciproca, russa e americana, dei missili nucleari a medio raggio in Europa. Il trattato fu poi di fatto firmato alla fine di quell’anno, sancendo la fine della guerra fredda.

Come sempre si seguiva il Festival di Sanremo, che in quell’anno si svolse in «sole» quattro serate, dal 4 al 7 febbraio. L’ultima, che si concluse alle 3:43 del mattino, vide trionfare Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi con la canzone «Si può dare di più».

Esattamente il 22 febbraio 1987 è poi anche il giorno in cui morì a New York Andy Warhol, figura centrale del movimento della Pop art e tra gli artisti più influenti e noti del XX secolo. Tra i quotidiani sportivi quella stessa sera si celebrava il Napoli di Maradona, che da primo in classifica allungò a +4 sull’Inter inseguitrice, proiettandosi da lì in avanti verso la conquista del suo primo storico scudetto.

In quei giorni cominciarono a circolare anche i primi spot promozionali di quella che sarebbe diventata una serie televisiva di culto, «Due assi per un turbo», sceneggiato televisivo ambientato nel mondo del trasporto merci che ebbe un successo strepitoso e ancora oggi replicato con un certo seguito. Il primo episodio andò in onda l’11 marzo seguente, con il titolo a dir poco profetico per i fatti che ora andremo a narrare: «Chi si ferma è perduto!».

Gli antefatti

E l’autotrasporto? Come se la passava in quel frangente? Il mondo dei camion stava attraversando una complessa stagione di fermento e di agitazione. Dopo l’istituzione dell’Albo degli autotrasportatori nel 1978 e dopo la nascita di tante sigle e associazioni a cavallo tra gli anni 60’ e 70’ – spesso divise, ma comunque tese alla ricerca di un’unità mirata a rafforzare il proprio peso politico complessivo – le rappresentanze sindacali avevano cominciato a conquistare una rilevanza politica senza precedenti, assumendo un ruolo sempre più determinante nelle trattive con il governo.

Non è un caso che la stagione della vivacità associativa sia concomitante con i primi fermi dei servizi dell’autotrasporto. Bastò il primo, proprio nel febbraio del 1980, anche se limitato al comparto dei cisternisti, a far capire che, bloccando i camion, in sole 48 ore si sarebbe messo in ginocchio il Paese. E infatti, le tensioni tra cisternisti e petrolieri si risolsero solo con la mediazione dell’allora ministro dei Trasporti, Luigi Preti, che portò a un aumento delle tariffe di trasporto del 15%. Visto il successo, i fermi si moltiplicarono negli anni successivi. In verità, non tutti andarono a buon fine o si realizzarono concretamente, ma senza dubbio quello che paralizzò clamorosamente il Paese si consumò proprio domenica 22 febbraio 1987 (anche se i primi disordini si erano già avuti il giorno prima), protraendosi poi per tutto l’arco della settimana successiva, fino a venerdì 27: sette giorni di passione in cui tutto il comparto dell’autotrasporto dichiarò compatto lo stato di agitazione.

Dall’archivio storico de «l’Unità», 23 febbraio 1987, p.2

Le cause della protesta

Lo sciopero fu proclamato dalle associazioni di categoria Fita-Cna, Anita, Ancs-Lega, Fai, Confapi e Sna-Casa. Le cronache dell’epoca parlano di «autotrasportatori di 200.000 aziende in agitazione». Ma per cosa, esattamente, si protestava? La molla che aveva fatto saltare il banco fu l’atteggiamento del governo che aveva presentato un decreto dal sapore punitivo e repressivo, in cui riproponeva la cosiddetta formula delle «supermulte-sicurezza» (citiamo, ad esempio, le sanzioni da 1 milione a 3 milioni delle vecchie lire e, in caso di ripetuta infrazione, da 3 a 8 milioni per il mancato funzionamento del cronotachigrafo). La richiesta degli autotrasportatori, quindi, fu quella di ammorbidire gli importi delle multe. Ma c’era anche dell’altro.

Sul tavolo delle richieste c’era la necessità di ristrutturare il sistema dei trasporti e di avviare procedure che riconoscessero lo stato di crisi del settore. Ma soprattutto, si richiedevano interventi riguardanti la definizione dei rapporti giuridici ed economici: obblighi giuridici e fiscali, contratti collettivi di settore e, in assenza di accordo tra vettori e utenza, fissazione delle tariffe da parte del Ministero. In particolare, si richiedeva l’aumento del 10% delle tariffe di trasporto. E, non da ultimo, l’elevazione di 10 km/h dei limiti di velocità sulle superstrade e sulle autostrade, portando cioè i limiti da 80 a 90 km/h. Un’istanza, quest’ultima, supportata da alcune stime dell’epoca secondo cui la velocità di 90 km/h consentisse un risparmio di tempo di circa il 10%. E che quindi, in buona sostanza, a maggiore velocità corrispondesse più produttività. Alfonso Trapani, allora segretario della Fita-Cna, si espresse sul tema sostenendo che «aumentare la velocità è indispensabile. Ormai si viaggia su tir molto sofisticati, omologati per correre a 140 km/h. Per renderli economici e per garantire almeno una media oraria di 70 all’ora, è inevitabile poter toccare anche i 90». Una polemica che, come vedremo a breve, sarà destinata a durare mesi e coinvolgerà anche l’allora ministro dei Lavori pubblici Franco Nicolazzi.

Foto tratta dall’archivio di «Uomini e Trasporti», marzo 1987, p.7

La risonanza mediatica

Le proteste durarono per un’intera settimana ed ebbero un’eco mediatica da prima pagina. I quotidiani generalisti strillarono titoli come «l’Italia nella morsa dei Tir» (la Repubblica), «Allarme per i rifornimenti: senza i Tir non arriveranno» (l’Unità), «Sciopero Tir: ancora guerra» (Italia Oggi). In effetti il ministro dei Trasporti Signorile, come citato in apertura, non si sbagliava a parlare di clima bellico.

La fila dei camion fermi al Brennero raggiunse i 7 km e altre colonne stazionarono sulle principali direttive di traffico. I giornali dipinsero un Paese immobilizzato dallo sciopero, infreddolito e affamato. In molte regioni mancò l’approvvigionamento di carburante e gli impianti di riscaldamento rischiarono di fermarsi. Ai mercati generali le scorte furono dimezzate e si registrarono forti aumenti dei prezzi all’ingrosso di alcuni generi alimentari. Il 26 febbraio la tensione sfociò addirittura in un clima da far west. L’Unità racconta di «una fucilata» e di «sassate contro camion in transito», probabilmente rivolte a chi non scioperava. A Treviso fu arrestato un camionista che aveva minacciato gli scioperanti con una pistola.

Anche Uomini e Trasporti fotografò il fermo (ebbene sì, la nostra rivista era nata qualche anno prima, nel 1981), dedicando il numero di marzo a quel particolare momento. Nell’articolo di apertura, «Cronaca di un fermo annunciato», si ripercorse la lunga ed estenuante trattativa tra governo e autotrasporto, che alla fine si risolse quasi in un nulla di fatto.

Come (non) andò a finire

Eh già, come si concluse il fermo? Il governo Craxi, prossimo alle dimissioni, preferì giocare il tutto per tutto per interrompere l’agitazione. Alcune delle richieste degli autotrasportatori vennero inizialmente accolte, anche se non tutte e, tra l’altro, con ripetuti annunci di contese e poi di smentite. Gli importi delle multe per i titolari delle licenze o delle autorizzazioni che consentono la circolazione con sovraccarico, ad esempio, furono dimezzati. Per alcune infrazioni gravi, alla revoca della patente fu sostituito il sequestro per un mese dell’autoveicolo. Le multe per gli autotrasportatori recidivi in caso di manomissione dei cronotachigrafi furono calmierate.

Da l’archivio storico de «La Stampa», 1 marzo 1987, p. 7, www.archiviolastampa.it

Ma molte altre promesse andarono in fumo, come quelle dell’aumento delle tariffe e dell’innalzamento dei limiti di velocità, che in un primo momento sembravano fossero sul punto di essere concretizzate ma che poi non trovarono terreno fertile per l’approdo in un decreto definitivo (di fatto il limite di velocità non venne mai innalzato; restò e resta tuttora, come da Codice della Strada, il limite di 80 km/h sulle autostrade e sulle superstrade per mezzi pesanti sopra le 12 tonnellate).

Del resto, l’allora ministro del Lavori pubblici Franco Nicolazzi aveva gettato acqua sull’ottimismo di Claudio Signorile, dando vita a vero e proprio braccio di ferro tra i due Ministeri sulla questione della velocità e della sicurezza. «Il problema della velocità – dichiarò Nicolazzi – è l’ultimo punto della vertenza dell’autotrasporto. Gli autotrasportatori scioperano perché le tariffe non sono adeguate, perché il settore è in crisi, perché la concorrenza è selvaggia. Per tutte queste ragioni – dicono – sarebbero costretti a violare i limiti di velocità. Ma se il governo è disponibile a riconoscere nelle misure dovute lo stato di crisi della categoria, a rivedere la normativa relativa alla professione e a ritoccare le tariffe, viene meno la necessità di elevare la velocità. Il problema della sicurezza interessa 57 milioni di cittadini. Non è con la corsa che gli autotrasportatori possono pensare di risolvere i problemi della categoria».

Al di là degli esiti delle trattative, che lasciarono più amaro in bocca che altro, quella protesta scosse profondamente il mondo dell’autotrasporto, che da lì in avanti cercò sempre più di rendere evidenti in maniera forte i segnali del malessere della categoria, che vedeva ormai da anni una costante erosione dei propri guadagni e cercava aiuto al governo. Altri importanti fermi furono effettuati negli anni a venire, come quello del marzo 1990, che ebbe una coda di violenze tra aderenti e contrari in Veneto e in Emilia e una sparatoria nel napoletano, o quello del luglio 1993, che dopo tre giorni di scioperi vide il governo cedere alle richieste degli autotrasportatori concedendo un bonus fiscale e l’aumento delle tariffe. Ma col passare del tempo quelle esperienze di quegli ultimi vent’anni del secolo scorso fecero riflettere le associazioni, diventate da allora sempre più restie a mettere in atto proteste divisive per la categoria e, dunque, pronte a ripiegare su manifestazioni meno rischiose, ma ugualmente visibili, come i tir lumaca o i presidi ai valichi.

Fonti:

  • Umberto Cutolo, Elisa Bianchi, 100 numeri per capire per l’autotrasporto. Storie in movimento, Editore Federservice, 2022, pp. 126-127
  • Claudio Notari, Allarme tir per i rifornimenti: senza i Tir non arriveranno, «l’Unità», 23 febbraio 1987, p.2
  • Claudio Notari, Il fermo dei Tir continua: trattativa col governo ancora in difficoltà, «l’Unità», 26 febbraio 1987, p.9
  • Claudio Notari, Braccio di ferro sui Tir: i camionisti non mollano e i ministri litigano, «l’Unità», 27 febbraio 1987, p.3
  • Claudio Notari, Tir a 90 all’ora: ma chi rispetterà i limiti?, «l’Unità», 1 marzo 1987, p.2
  • Gianluigi Savio, Nicolazzi: non accetto gli aumenti di velocità, «La Stampa», 1 marzo 1987, p.7
  • Cronaca di un fermo annunciato, «Uomini e Trasporti», marzo 1987, pp. 4-6
  • Quel selvaggio di un Tir, «Uomini e Trasporti», aprile 1987, p. 10
  • G8: lo strappo di Craxi, nel 1987 disertò vertice di Parigi, 15 gennaio 2020, www.slownews.it/g8-lo-strappo-di-craxi-nel-1987-diserto-vertice-di-parigi/

Se questo articolo ti è piaciuto, ti piacerà anche la nostra serie podcast K44 «Le Ruote della Storia», dove raccontiamo la storia dell’autotrasporto italiano. Qui il link per ascoltare il secondo episodio che ripercorre proprio il decennio degli anni ’80.

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