Veicoli - logistica - professione

HomeNWL - Attualità«Caro Marcello, svegliamoci dai sogni e dalla passione. Diventiamo autisti consapevoli, non complici di un sistema malato»

«Caro Marcello, svegliamoci dai sogni e dalla passione. Diventiamo autisti consapevoli, non complici di un sistema malato»

La risposta di Laura Broglio, camionista e storyteller, alla lettera di Marcello B. pubblicata nei giorni scorsi dalla nostra testata. Uscire dalla logica della passione e dei sogni, per cominciare a guardare in modo lucido la realtà e prendersi cura di sé stessi mentre si lavora anche a beneficio della sicurezza collettiva. “Abbiamo accettato – scrive Laura -l’idea che per essere bravi bisogna fare l’impossibile anche mettendo a rischio noi stessi e gli altri”. Per gli autisti è tempo di voltare pagina

-

Laura Broglio, camionista e storyteller, risponde a Marcello B., un autista di Altamura che nei giorni scorsi aveva inviato una lettera a Uomini e Trasporti per raccontare la sua disillusione per un mestiere che all’inizio lo aveva attratto e affascinato. “Urlare non basta più – scrive Laura – la retorica della passione ci ha resi complici di un sistema malato”. Uscire da questa “anestesia” porterebbe a una visione più lucida del mestiere con la possibilità di “iniziare a fare di tutto per stare meglio” da parte degli autisti che spesso sacrificano parte della loro vita personale in nome del risultato aziendale. Ecco la lettera.

Caro Marcello,


Quello che provi tu è il sentimento comune di tutti noi che, passato il primo momento di innamoramento, cadiamo nella disillusione a piè pari.
Come quando sbagli il passo e ti senti cadere.

Inizia così, la frustrazione.

Poi accade che quel passo fatto male ti porti a schiantare la faccia a terra e quella frustrazione si trasformi in rifiuto per un settore che chiede troppo e non offre nulla in cambio.

Hai appena capito perché nessuno vuole più fare questo mestiere e perché i veterani ci ripetono che forse avremmo dovuto fare altro.

Hanno visto prima di noi un degrado mai sanato a causa del disinteresse che, naturalmente, non porta a iniziative concrete.
Si sono visti prosciugati da un sistema basato sull’irregolarità continua e non hanno mai assistito a un cambiamento positivo.

Anzi, hanno visto il proseguimento dello sfruttamento delle professionalità straniere, a conferma che quella dell’autista non viene considerata da nessuno, nonostante ogni camion trasporti letteralmente milioni in merce. 

Loro lo sanno che la fatica che hanno sempre vantato non li ha portati da nessuna parte, ma non sono mai riusciti a descrivere la crepa emotiva che, a un certo punto, si apre dentro di noiCosì profonda che nessuno stipendio — mai abbastanza equo — potrà mai colmare.

E se questa amarezza io la capisco, perché non risparmia nessuno di coloro che hanno creduto in questo mestiere, ti dico che urlare non basta più
È arrivato il momento di andare contro uno dei grandi credo di questo settore: la retorica della passione, che ci ha resi complici di un sistema malato. Perché vedi, la differenza tra chi ama questo lavoro e chi lo idolatra è tutta lì.
Chi lo ama, lo difende, ma riconosce quando il rapporto diventa tossico e fa male. Chi lo idolatra, invece, si lascia divorare, pensando che sia l’unico modo per svolgere un compito.

Tu dici che non ce la fai più, che le strade sono un inferno, che i servizi fanno schifo — e hai ragione. Ma quante volte ti sei raccontato che quello che facevi era “in nome della passione”?
Quante volte ti saresti voluto fermare, ma la vocina nella testa ti ha detto che rallentando non avresti dimostrato di essere degno?
A te stesso e ai tuoi amici.
Quante volte, tra voi ragazzi, è partita la sfida a chi tira di più per arrivare, per sentirsi “veri uomini”?

Te lo dico io, non perché abbia la presunzione di saperlo, ma perché ci sono passata anche io: tante, troppe.

È tempo di ammettere, anche se fa male, che abbiamo alimentato quel sistema che ora ci soffoca.
Troppo spesso, in nome della passione”, abbiamo accettato lidea che per essere bravi bisogna fare limpossibile anche mettendo a rischio noi stessi e gli altri.

Abbiamo confuso la dedizione con la sfida continua al limite. La verità è che non serve andare oltre o piegare le regole per dimostrare quanto vali.

La passione non si misura nei chilometri fatti o nei turni massacranti.
La passione vera è quella che difende la vita: la propria, quella degli altri e quella del mestiere stesso.

E difenderla vuol dire rispettarla anche quando nessuno ti guarda o gli altri ti puntano il dito.
Difenderla è fare bene il proprio lavoro, ma con consapevolezza dei limiti — normativi e personali — anche se gli altri pensano che tu viva fuori dal mondo.

Altrimenti, questa dipendenza da riconoscimento continuerà a usarci: ci darà qualche like, due complimenti, e noi — felici — diremo che “il camion è la mia vita”.

E nulla cambierà. 

Il giorno in cui smetteremo di confondere il sacrificio con l’onore, forse inizieremo davvero a dare una direzione nuova. Perché le vere rivoluzioni non si compiono aspettando che arrivino dall’alto, ma partono dal basso.
Si realizzano quando la voce — ma soprattutto le azioni — di un singolo diventano quelle collettive.

Un po’ come la Flottilla, che è stata capace di muovere in tutta Italia milioni di persone. Un nostro gesto, anche semplice — come prenderci la pausa che ci spetta, allungarla di un quarto dora, o fermarci prima dello scadere delle ore per goderci un posto più accogliente di un cancello di una ditta — fatto da tutti, può davvero far capire i reali tempi di consegna a chi pensa che Bari–Milano si possa fare in giornata.

Perché se è vero che questo mestiere ci ha insegnato a sopportare tutto — il caldo, la solitudine, i turni infiniti, i parcheggi inesistenti — lo ha fatto non con la virtù, ma con l’anestesia. E quella sensazione catatonica che abbiamo chiamato sogno non era altro che la dose massiccia di una droga che ci ha fatto normalizzare l’abuso, giustificare l’ingiustizia, trasformare la passione in sacrificio.

E così come dai sogni, anche dall’anestesia prima o poi ci si sveglia. 
Una volta svegli, bisogna iniziare a fare di tutto per stare meglio. 

close-link