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Dietro front della Corte di Giustizia europea: «I costi minimi erano totalmente legittimi»

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I costi minimi della sicurezza non andavano abrogati. Non è un giudizio di un qualche sindacalista stanco, ma la conclusione (logica) che si desume da un’ordinanza della Corte di Giustizia europea (emessa il 21 giugno scorso e pubblicata il 5 settembre sulla GUCE, ma passata stranamente sotto sordina) che lascia a dir poco sconcertati. Il caso in questione, sottoposto all’attenzione della Corte europea, era assolutamente tipico. A un salumificio sardo veniva ingiunto di pagare 37.136,27 euro, accresciuti degli interessi moratori, a una ditta di autotrasporto (di proprietà di Remigio Marongiu), come differenza tra quanto aveva già pagato per una serie di trasporti e quanto invece avrebbe dovuto pagare applicando i costi minimi della sicurezza.

Ma il salumificio, visto che nel frattempo era stata abrogata la normativa che prevedeva i costi minimi in ragione di una sua presunta contrarietà al diritto comunitario, si opponeva all’ingiunzione.

Ne veniva fuori un contenzioso davanti al Tribunale di Cagliari, il quale però, piuttosto che affrontare la questione in maniera analoga ad altri tribunali italiani (come Genova o Livorno), chiedeva alla Corte UE come valutare la questione. Perché è vero che nella “storica” sentenza del 4 settembre 2014 la stessa Corte bocciò di fatto i costi minimi, ma – si legge nella stessa ordinanza – allora la situazione era decisamente diversa rispetto a quella attuale. Perché a quel tempo si valutarono i costi minimi d’esercizio determinati dall’Osservatorio, organismo composto da rappresentanti degli operatori economici interessati, mentre qui «si tratta dei costi minimi determinati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti».

In pratica, la questione posta dal Tribunale di Cagliari può essere ridotta a una domanda: l’articolo 101 dei trattati europei (che vieta accordi tra imprese in grado di pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano l’effetto di falsare il gioco della concorrenza), in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3 degli stessi trattati (che chiede agli Stati membri di astenersi dal prendere misure capaci di rendere difficoltosa la realizzazione di obiettivi comunitari) rappresenta un ostacolo per gli Stati membri ad adottare una normativa particolare, come quella sui costi minimi?

La risposta della Corte europea è stata un candido «no». Perché – ha spiegato – per esserci una violazione delle regole della concorrenza, uno Stato membro dovrebbe imporre o agevolare la conclusione di accordi in contrasto con l’articolo 101 o svuotare di contenuto pubblico la propria normativa, delegando a operatori privati la responsabilità di adottare decisioni in materia economica (un po’ come avveniva con l’Osservatorio). Ma se i costi sono fissati dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, questa delega non c’è. Né inficia tale conclusione il fatto che l’istituzione pubblica consultasse per la determinazione dei costi rappresentanti delle associazioni di categoria delle parti interessate. Insomma, per la Corte questa procedura tutta pubblicistica non costituisce un’intesa tra imprese imposta o favorita da uno Stato. Anzi, la cosa è talmente evidente, conclude la Corte, che non c’è nemmeno bisogno di andare a «verificare se una normativa come quella di cui al procedimento principale imponga restrizioni della concorrenza effettivamente necessarie al conseguimento di obiettivi legittimi».

In sintesi, quindi, l’articolo 83 bis era una normativa legittima e la fissazione dei costi minimi da parte del ministero non andava in contrasto a nessuna normativa comunitaria.

Di conseguenza la ditta di autotrasporto Remigio Marongiu aveva tutte le ragioni per chiedere al salumificio per cui aveva effettuato trasporti quanto gli spettava sulla base dei costi minimi.

 

LE QUESTIONI APERTE

A questo punto, però, sorgono alcune questioni. La prima questione è di natura politica, perché è vero che la normativa dei costi minimi appartiene a un archivio storico, essendo stata cancellata proprio a seguito della sentenza del 4 settembre 2014 della Corte europea, ma a questo punto viene da chiedersi se quell’abrogazione non sia stata troppo affrettata. Insomma, ce n’era veramente bisogno?

La seconda questione riguarda invece il seguito giurisprudenziale che ha avuto quella sentenza e quindi l’abrogazione dell’art. 83 bis: in decine di casi, infatti, molti trasportatori che avevano ottenuto la differenza tra quanto pattuito con il committente e quanto fissato dai costi minimi, si sono poi visti richiamare in giudizio e privati di quella somma ottenuta. Sulla base di decisioni, ormai passate in giudicato, che però vengono letteralmente smentite dall’attuale ordinanza della Corte di Giustizia europea. Insomma, ci sono stati tanti autotrasportatori che, contrariamente a quanto è accaduto all’Autotrasporti Marongiu, hanno incassato i costi minimi oggi e poi il giorno seguente li hanno dovuti restituire. Trasportatori che adesso difficilmente potranno trovare una spalla su cui andare a piangere.

Poi c’è la terza questione che riguarda i processi ancora in corso e che a questo punto dovranno prendere in considerazione, con buona probabilità, questa ordinanza della Corte UE. Con la conseguenza che, per l’ennesima volta in questo paese, questioni identiche saranno giudicate in modo completamente opposto. Magari soltanto perché qualcuno si è trovato davanti a un tribunale qualche settimana prima o dopo.

L’ultima questione investe ancora il mondo politico-sindacale e porta a chiedersi come vorranno giudicare l’attuale ordinanza. Paolo Uggè, presidente di Fai-Conftrasporto, per ora l’unico a commentare la decisione della Corte, crede che «tutti i magistrati italiani chiamati a occuparsi di costi minimi non potranno non tenerne conto. Ma anche lo stesso Governo dovrà rendere efficaci quelle norme così imprudentemente cancellate». 

Sarà veramente così?

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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