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Dopo due settimane “punge” il fermo bisarche: Anita chiede un intervento del governo

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Lo sciopero delle bisarche era partito in maniera soft, lenta ma inesorabile. Nel senso che a sostenerlo era soprattutto la nuova sigla Bisarche Libere, alimentata da piccoli autotrasportatori, solitamente al servizio (in subvezione, cioè) di grandi trasportatori o di società di logistica. Essenzialmente chiedono il ripristino del decaduto lodo Bonforti e un adeguamento delle tariffe. Ma non avendo trovato nella controparte un orecchio attento, sono andati avanti a oltranza per due settimane e non hanno intenzione di interrompere la protesta.
 Alla fine, un disagio oggi e uno domani, la situazione ha assunto contorni critici, soprattutto nei porti in cui si concentrano gli sbarchi di veicoli (in particolare a Livorno, dove arrivano quelli che provengono dall’Asia). A questo punto si solleva la voce di Anita, associazione che rappresenta le aziende più strutturate, per denunciare come siano “aumentati i presidi dei manifestanti in prossimità di aree strategiche per la movimentazione delle autovetture” e come si stiano “registrando veri e propri atti di delinquenza e minacce intimidatorie nei confronti degli autotrasportatori che non hanno aderito alla protesta”. Da qui la ferma di Eleuterio Arcese, presidente Anita: “Non ammettiamo che chi voglia continuare a svolgere il proprio lavoro non possa farlo perché ostacolato o minacciato dai manifestanti”. “Mi chiedo perché il Governo – continua il presidente – non sia ancora intervenuto per garantire la sicurezza e la regolarità della circolazione e il ripristino dei servizi di trasporto”.
Anita ha chiesto un incontro urgente ai ministri dell’Interno, dello Sviluppo economico e Infrastrutture e Trasporti per conoscere le misure da mettere in atto e precisa che, senza una risposta immediata, si riserverà “di valutare ogni azione possibile per difendere i nostri diritti di imprenditori, anche a tutela dei nostri dipendenti”.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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