C’è un grande assente nell’Action Plan presentato il 6 marzo scorso dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: l’autotrasporto. Nella sua lunga dichiarazione, con cui conferma gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 e sostiene la scelta del full electric, concedendo soltanto la possibilità di evitare per il 2025 e il 2026 le multe milionarie alle case che non riescono a ridurre già da quest’anno l’impatto del 15%, non c’è una sola parola che riguardi i veicoli pesanti. Un’assenza rilevata subito dai protagonisti della filiera, che l’hanno segnalata insieme all’insoddisfazione per le misure annunciate sul versante dei veicoli leggeri.
Sigrid de Vries, direttrice generale dell’Associazione europea produttori automobili (ACEA) ha protestato che «rimane il vuoto sulla revisione delle emissioni per i camion» e Raluca Marian, direttrice IRU Europa ha criticato la Commissione perché «ha perso l’opportunità di pianificare una revisione anticipata degli standard di CO2 per i veicoli pesanti». Forte insoddisfazione anche in Italia, dove il presidente di Anfia (i costruttori italiani di veicoli), Roberto Vavassori, ha sottolineato che «manca, in maniera incredibile, qualunque riferimento al settore, così importante, dei veicoli industriali» e quello di Federauto (associazione dei concessionari), Massimo Artusi, ha definito «inspiegabile» l’esclusione dei produttori di veicoli pesanti dallo slittamento delle multe.
Le multe per i camion
In realtà, nel documento ufficiale, qualche cenno all’autotrasporto c’è. Ma la parola truck compare solo tre volte:
1) per ricordare che la produzione europea di veicoli industriali rappresenta oltre il 40% del mercato mondiale;
2) per annunciare una vaga iniziativa legislativa sulle flotte con «accelerare l’adozione di autocarri europei a emissioni zero»;
3) per annunciare, in un paragrafo intitolato «Accelerare la diffusione dei veicoli pesanti a emissioni zero», l’esenzione per questi veicoli dall’Eurovignette (e in generale per invitare alla creazione di pedaggi di favore), la revisione della direttiva su pesi e dimensioni per aumentarne il carico utile ridotto dalle batterie e un maggiore ma generico impegno per l’«adeguamento dei veicoli pesanti convenzionali, in particolare degli autobus, con un gruppo propulsore elettrico».
Un po’ poco per decarbonizzare un settore in cui – come dice Marco Digioia, segretario generale dell’UETR, associazione europee di PMI dell’autotrasporto – se c’è un tipo di veicolo per il quale il motore a combustione interna ha ancora molte cose da dire, è proprio quello pesante. E soprattutto nulla per quanto riguarda le multe che, dunque, per i produttori di camion restano – e scatteranno per il periodo da luglio 2025 a giugno 2026 – anche se è difficile quantificarle (per le auto erano state stimate in 15-16 miliardi di euro), perché il computo è molto più complicato: mentre per auto e furgoni (LDV: Light Duty Vehicle) basta moltiplicare 95 euro per la CO2 in esubero valutata in g/Km, per i veicoli oltre le 3,5 ton (HDV: Heavy Duty Vehicle) si moltiplica 4.250 euro per la CO2 in esubero, valutata in g/Km per ciascuna tonnellata trasportata (che è un valore molto più basso, ma variabile in base ad allestimento e peso totale a terra).
Perché altrettanto complicata è l’attribuzione dei valori delle emissioni, in quanto il Regolamento fissa nove livelli di partenza per altrettanti sottogruppi, incrociando tipologia del veicolo, anno di immatricolazione, tipo di cabina, potenza del motore, autonomia, mission e altro. Il che crea non poche difficoltà per il calcolo nella fascia fra le 3,5 e le 7 tonnellate di carico.

Alternative all’elettrico
Con un mercato europeo che immatricola poco più di 300 mila veicoli industriali (Acea 2024), quasi tutti a gasolio, tranne un 2% di elettrici, c’è da chiedersi come sarà possibile ai costruttori rispettare le quote di CO2 stabilite dal programma Ue: non solo il 15% di riduzione fissato per il 2025, ma il 45% deciso per il 2030, fra soli cinque anni. Non è un caso che chi ha criticato l’Action Plan per il mancato intervento sulle multe per i produttori di camion, si affanni a chiedere da una parte la revisione degli standard di CO2 per i camion, dall’altra un’apertura concreta – per tutti – all’idrogeno e ai biocarburanti, che sono anch’essi carbon neutral nel ciclo di vita. «Con costernazione», commenta Vavassori, «lamentiamo la mancanza di elementi fondamentali della transizione, tra i quali la neutralità tecnologica. Per sostenere la competitività e preservare l’occupazione, l’UE deve abbracciare un portafoglio diversificato di tecnologie sostenibili, includendo, al 2035 e oltre, i veicoli ibridi sia plug-in che range-extender alimentati con carburanti di origine non fossile».
E Marian ha accusato che «nel piano dell’Unione mancano combustibili a emissioni zero, combustibili rinnovabili, biocarburanti e persino idrogeno». E lo stesso Partito popolare europeo (PPE), quello di von der Leyen, ha detto per bocca dell’eurodeputato Jens Gieseke: «Come gruppo PPE ci aspettavamo molto di più a questo proposito e speravamo in un chiaro impegno a rivedere rapidamente il divieto dei motori a combustione interna».
Uno spiraglio a fine anno
Perché l’Action Plan è stato considerato da tutti una riconferma della linea fin qui seguita dall’Unione per decarbonizzare i trasporti stradali unicamente con la trazione elettrica. Troppa vaghezza nel presentare alternative, nessun impegno preciso, concessioni a mezza bocca. Dopo la presentazione del Piano, il Commissario all’Ambiente, il greco Apostolos Tzitzikostas, si è lasciato scappare una mezza ammissione: «Per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2035, avremo bisogno di un approccio tecnologicamente neutro. È già stato annunciato che gli e-fuels avranno un ruolo da svolgere e saranno presi in considerazione nell’ambito di questa prevista revisione. Valuteremo quali altre tecnologie potrebbero ancora avere un ruolo per il raggiungimento degli obiettivi del 2035».
Uno spiraglio? Forse, ma non nuovo. Mentre per auto e furgoni l’unica concessione è l’anticipo dal 2026 a quest’anno del riesame dell’«efficacia» e degli «effetti» delle misure previste nella normativa, per i veicoli pesanti il riesame è fissato al 2027 e non cambia, ma entro fine anno lo stesso Regolamento impone alla Commissione di presentare a Parlamento e Consiglio una valutazione del «ruolo dei combustibili rinnovabili sostenibili» nel settore dei mezzi pesanti, comprendente «un’analisi esaustiva della necessità di incentivare ulteriormente la diffusione dei biocarburanti avanzati, del biogas e dei combustibili rinnovabili di origine non biologica nel settore dei veicoli pesanti e un adeguato quadro di misure al fine di conseguire tale diffusione, compresi incentivi finanziari». Con la facoltà di presentare su tale base ulteriori proposte legislative agli Stati membri.
I bilanci di sostenibilità e l’HVO
Perché mentre la Commissione continua a puntare sull’elettrico, il mercato procede spedito. La sostenibilità con la normativa ESG è diventata una voce di bilancio per le imprese produttrici, progressivamente obbligate a presentare il «bilancio di sostenibilità», dove indicare anche le emissioni di CO2 prodotte in tutto il ciclo delle attività aziendali. Per questo sta crescendo la domanda di servizi di trasporto a basso impatto di CO2, a cui le imprese di autotrasporto – in attesa di veicoli elettrici competitivi – rispondono con carburanti a basse emissioni.
Il bio HVO, che riduce fino al 95% le emissioni di CO2, sta registrando un boom di consumi, spingendo la produzione europea a 4 milioni di tonnellate, con previsioni di arrivare a 15,5 milioni (5 dei quali prodotti da ENI) al traguardo del fatidico 2030.
Elettrico a tutti i costi
In pratica, Commissione e mercato si muovono su strada parallele. Il che crea dubbi e tensioni. Quella frasetta sulle flotte, per cui la Commissione «esaminerà anche misure per accelerare l’adozione di autocarri europei a emissioni zero», annunciando – con un documento separato: il Decarbonise Corporate Fleets – un’iniziativa legislativa in materia già per quest’anno, ha fatto suonare un campanello d’allarme. L’IRU con Raluca Marian teme si possano «introdurre obietti vi di acquisto obbligatori». Anche perché l’ipotesi, sia pur sottovoce, circola da tempo. Soprattutto in Francia, dove giace in un cassetto la proposta di mandati obbligatori per le aziende con più di cento veicoli commerciali. Tant’è che, prima ancora della pubblicazione del documento sulla decarbonizzazione delle flotte, il nostro ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ha scritto alla Commissione Ue, insieme ai suoi omologhi di Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria, per chiedere di non introdurre quote d’acquisto obbligatorie. La guerra continua.