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Senza ascensori: la crescita impossibile di chi nasce subvettore

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Tik tak. Tik, tak. Un ticchettio irregolare, veloce, man mano diventa frenetico. Il viso illuminato da una luce bluastra e il fruscio dei fogli che si spostano come per aiutare chi, digitando numeri su quella tastiera, sta facendo conti, a calmare il respiro. È fine mese, l’ennesima scadenza che incombe, l’ennesima speranza di vedere il conto crescere svanisce. Anche stavolta, pagato il dovuto, rimane poco più di nulla.

Eppure, sulla carta le cose sembravano funzionare. Su quella carta, però, non era stata considerata la precarietà di un margine così basso, che mai avrebbe permesso una crescita reale. Forse era scritto con il succo di limone, come quei messaggi segreti che si usano da bambini per svelare il contenuto solo a chi conosce il trucco. Nei bilanci ci sono costi, ricavi, ammortamenti, ma manca un elemento cruciale, un’uscita silenziosa che corrode lentamente la vitalità di chi pensava di poter fare impresa con successo: la subvezione.

Si tratta dell’affidamento di tutto o parte del trasporto ad altro vettore. Forse è utile per gestire il traffico con maggiore flessibilità e per ottimizzare l’utilizzo dei veicoli. Forse, in alcuni casi, ha permesso di creare nuove sinergie tra vettori e sviluppare reti d’impresa efficienti . Quando, però, questo strumento è soggetto solo al buon senso di chi lo utilizza, privo di regole e di sanzioni, rischia di diventare una scorciatoia per il guadagno facile di chi vende il trasporto. Perché chi si limita a svolgere questa attività incassa ricavi al netto dei costi del trasporto. Costi che invece si deve addossare chi di quel lavoro ha bisogno per vivere.

Se è vero che nell’evoluzione storica i piccoli padroncini sono destinati a scomparire, a favore di grandi flotte (o al massimo di aggregazioni), io mi chiedo: ma chi ha una visione, una volontà di affermarsi sul mercato e intende avviare oggi un’impresa di autotrasporto per crescere e poi affermarsi nel tempo, come può farcela? Se l’unico modo per accedere al mercato è lavorare come subvettore, come si può ottenere il guadagno necessario per continuare a investire nella propria crescita?

La risposta, naturalmente, è retorica: non può. Chi inizia come subvettore continuerà a lavorare al traino di altri e quindi sottocosto. E se anche avesse la fortuna o la bravura di arrivare a trattare direttamente con un committente, in ogni caso non potrà mai essere competiti vo contro chi detiene il mercato e non sostiene i veri costi del trasporto. E, soprattutto, non potrà esercitare alcun tipo di rivalsa in caso di controversie, non solo perché vige la logica del «via tu, avanti un altro», ma anche perché quella controversia potrebbe andare a scapito di chi il cliente lo gestisce davvero: il primo vettore. E così, chi dovrebbe essere un alleato nella lotta per migliorare il settore, diventa invece un concorrente sleale che, pur di mantenere il controllo del mercato, contribuisce a desertificare il tessuto delle piccole e medie imprese.

Questo articolo fa parte del numero di marzo/aprile 2025 di Uomini e Trasporti: un numero che contiene un’ampia inchiesta sul fenomeno della subvezione nell’autotrasporto, con numeri, approfondimenti e voci dal settore.

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