Nomen omen, dicevano gli antichi Romani: il nome è un presagio. Come non pensarci di fronte a Luca Brunelli, titolare dell’azienda agricola Martoccia, che a Montalcino produce il celebre Brunello e ci è anche nato cinquant’anni fa, da una famiglia che negli anni Sessanta aveva messo in secondo piano il podere per dedicarsi ad altro.
Luca avrebbe dovuto occuparsi di motori, ma negli anni Novanta piantò gli studi di ingegneria meccanica per acquistare due ettari e mezzo di vigna e partì per un’avventura che oggi lo ha portato a possedere 25 ettari di terreno: bosco, oliveti, ma soprattutto dieci ettari di vigneti nell’area di Montalcino (più altri quattro nel vicino territorio del Montecucco), cinque dei quali iscritti alla DOCG Brunello di Montalcino.
Una produzione di qualità che affianca il vino più rinomato d’Italia: Rosso di Montalcino DOC, Poggio Apricale IGT, Chianti DOCG, IGT Luca, un Chianti con il nome di Brunelli, che è stato a lungo vicepresidente nazionale di CIA-Agricoltori Italiani ed esporta i suoi vini in tutto il mondo. «Gli Stati Uniti per noi sono un mercato importante», precisa, «che assorbe un 40% della nostra produzione e un terzo del fatturato».

Dunque la guerra dei dazi, aperta ad aprile dal presidente americano Trump, è una questione che l’azienda di Montalcino vive sulla propria pelle. «L’incertezza è totale», ammette Brunelli. «Ci si rende conto che la questione dei dazi nel futuro caratterizzerà il nostro lavoro. Intanto una tariffa del 10% è già in vigore e su quella nessuno pensa si possa tornare indietro. E la gran parte degli importatori americani hanno chiesto di dividere quel 10% con i produttori. È successo anche a me con due terzi dei miei importatori americani. Abbiamo trattato concedendo il due, il tre o anche nulla. Insomma, una tariffa del 10% non fa grandi danni. Il vero problema è che questi dazi si sommano a una caduta del dollaro e finché non ci saranno certezze, avremo un’oscillazione dei prezzi con forti differenze tra quelli iniziali e quelli finali.
Quello di cui sono più preoccupati gli importatori americani è l’andamento dell’economia USA. Per questo molti cercano di portarsi in pancia più vino possibile in questi tre mesi di sospensione dei nuovi dazi. Ma è un palliativo, non una soluzione».
Perché è un palliativo?
Prima di tutto perché accumulano uno stock destinato a esaurirsi, anche perché alcuni vini hanno preparazioni che non permettono di essere pronti entro la scadenza della sospensione, ai primi di agosto; poi a settembre arrivano le nuove annate e il ciclo ricomincia. C’è anche da dire che non tutti gli importatori, abituati al just in time, possono permettersi lo stoccaggio, e non tutti sono disposti ad affrontare costi di magazzinaggio, tant’è che gli importatori che vogliono fare stock si stanno consorziando.
Ma è anche difficile che importatori di vino con un portafoglio importante possano fare magazzino per tutte le etichette che gestiscono. Qualcuno avrà la forza di farlo, ma non tutti. Dei miei importatori, solo un 30% può farcela: in tutti gli USA, su una dozzina di miei importatori, solo 4-5 si stanno organizzando per importare quantità più elevate del normale. Gli altri, soprattutto in grandi città come New York, continuano a operare senza magazzino. Avete presente quanto può costare un magazzino a New York?

Ma un aumento dei prezzi finali non può favorire la concorrenza dei vini americani o quelli di altri paesi?
Non posso pensare che Trump abbia deciso i dazi per favorire i vini americani. La loro produzione interna è bassa e molto costosa. Perciò non credo ci sia bisogno di riequilibrare il mercato del vino. Penso invece che la contrapposizione sia su altre partite, il che comunque crea una fibrillazione. Quanto ai prodotti di altri paesi – penso al Sud America – forse sono facilitati rispetto ai nostri: vedremo se i nostri vini sapranno resistere.
In caso di rallentamento delle esportazioni negli USA, avete valutato di spostarvi su altri mercati?
È una delle strade che stiamo valutando, anche perché già esportiamo in tante parti del mondo, proprio per evitare situazioni di dipendenza. Può essere la soluzione? Non lo so. Anche perché non è facile spostare forti quantità di produzione. La ricerca sicuramente continuerà, ma penso riguarderà di più aziende che lavorano solo con gli USA. Noi la ricerca di altri mercati l’abbiamo fatta e continueremo a farla a prescindere. Anzi, se riuscissimo ad aumentare le percentuali su altri paesi saremmo più che soddisfatti, anche perché stiamo acquisendo nuovi terreni e piantando nuovi vigneti, per dare spazio a nuovi vini e a quantità superiori che arriveranno in futuro. Perciò quel che riusciamo a ottenere in più dal mercato, anche a prescindere dai dazi, ci sta più che bene.


