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La Consulta ha deciso: «L’art. 83 bis non è incostituzionale»

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Segnare un gol a tempo scaduto non serve a niente. E anche giudicare una norma che di fatto è stata censurata da un’autorità superiore europea e poi cancellata dallo stesso legislatore nazionale diventa un esercizio di stile. Così, la Corte Costituzionale, chiamata a rispondere ai Tribunali di Trento e di Lucca se l’art. 83 bis, quello cioè che regolamentava il regime dei costi minimi nell’autotrasporto, fosse o meno incostituzionale, ha deciso di non decidere e di rimettere gli atti agli stessi Tribunali affinché, tenendo conto di quanto avvenuto dal momento della presentazione del ricorso a oggi, decidano di conseguenza. All’origine di tale presa di posizione, espressa nell’ordinanza n. 80/2015, c’è appunto la sentenza della Corte UE del Lussemburgo – ampiamente citata dalla Corte – che aveva ritenuto parte di questo articolo incompatibile con il regime della libera concorrenza, ma anche la Legge di Stabilità 2015 che ha cancellato quel sistema per sostituirlo con un altro.

Ciò detto, però, bisogna valutare il valore giuridico di questa ordinanza. E il valore lo si desume dal fatto che, alla domanda se l’art. 83 bis fosse incostituzionale o meno, la Corte non ha risposto «sì», ma anzi ha chiarito che il comma 8 di questo articolo – quello in cui si prevedeva per i contratti di trasporto non scritti una diversa prescrizione rispetto a quelli scritti (cinque anni piuttosto che uno) – non è illegittimo dal punto di vista costituzionale.

Questa specificazione fa pensare, almeno da due punti di vista.

Per un verso, infatti, bisogna sottolineare che se il regime di prescrizione di un diritto è valido, rimane tale anche il diritto stesso.

Per altro verso, invece, è vero che l’art. 83 bis non esiste più, ma è anche vero che la questione centrale, adesso, diventa quella dei processi in corso, rispetto ai quali molti trasportatori che sulla base di un decreto ingiuntivo hanno incassato delle somme (corrispondenti alla differenza tra quanto statuito nel contratto con il committente e quanto previsto dai costi minimi) dormono sonni agitati, temendo di doverle restituire. Perché se effettivamente la Corte Costituzionale avesse deciso che l’art. 83 bis era incostituzionale e che quindi lo era fin dall’origine, allora oggi questo rischio di restituire quanto incassato sarebbe tragicamente concreto. Invece, non soltanto la Corte non si è pronunciata rispetto all’incostituzionalità dell’articolo in questione, ma l’unico punto su cui si sente di dover intervenire è proprio quello in grado di gettare ombre sul presente e sul futuro, vale a dire quello che regola la prescrizione lunga di cinque anni dei contratti non scritti. E dicendo che è «inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83-bis, comma 8» di fatto consente, fino allo spirare di questo termine, la possibilità di richiedere quanto non avuto. 

Ciò, ovviamente, non significa che poi chi richiede avrà effettivamente ragione, ma significa però che il diritto di rivalsa – chiamiamola così – rimane assolutamente intatto.

Purtroppo, invece, il timore è che, siccome la Corte Costituzionale non ha specificato come leggere la sentenza dei colleghi di Lussemburgo, né come valutare la modifica intervenuta con la Legge di Stabilità, ogni giudice davanti al quale pende un processo relativo ai costi minimi dell’autotrasporto possa decidere sulla base di un proprio convincimento. Il che equivale a dire che l’uno potrà decidere in un senso e l’altro in senso esattamente opposto. Che non è proprio ciò che si definisce «certezza del diritto».

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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