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La Cassazione conferma: usare la calamita per bloccare il tachigrafo è un reato penale

Il caso, avvenuto tra il 2010 e il 2013, era molto eclatante. Perché riguardava un amministratore di più società di autotrasporto che non soltanto faceva applicare dei magneti sui veicoli, per consentire agli autisti di guidare oltre quanto imposto dalle normative, ma imponeva loro di adeguarsi a questo sistema a pena di licenziamento. I giudizi ne hanno evidenziato le responsabilità per «rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro» (art. 437 c.p.), anche se hanno dovuto constatare che il reato, visto il tempo trascorso dai fatti, è prescritto

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Manomettere il tachigrafo non comporta soltanto sanzioni amministrative, contemplate dal codice della strada, ma anche altre di natura penale, riferite in particolare all’art. 437 del codice penale in cui è previsto il reato di «rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro». Questo principio è da anni – sentenza n. 47211 del 2016, n. 34107 del 2017 e n. 10494 del 2019 – ribadito dalla Cassazione. Ma adesso trova applicazione in una sentenza più articolata, perché scaturita da una vicenda un po’ diversa. Il fatto preso in considerazione dalla Corte, infatti, giudicato con sentenza n. 40187 del 25 ottobre 2022, riguarda il ricorso contro una decisione della Corte d’appello di Milano presentato da un amministratore di più società di autotrasporto (in sentenza indicato con la sigla G.P.V.) condannato in primo grado a un anno e otto mesi di reclusione e in appello a un anno, un mese e venti giorni, il quale non soltanto aveva utilizzato dei magneti per impedire il corretto funzionamento del cronotachigrafo, così da impedire la registrazione dei tempi di guida e quindi consentire ai suoi autisti di guidare un numero di ore superiore a quello consentito dalla legge, ma aveva anche fatto pesanti pressioni su 14 conducenti dipendenti. Più precisamente, tramite prove raccolte dalle indagini attraverso l’apposizione del GPS sui veicoli, la raccolta di testimonianze e una perquisizione diretta avvenuta il 13 ottobre 2013, veniva appurato che G.P.V. chiedesse ai propri dipendenti di installare a bordo dei mezzi i magneti per bloccare le registrazioni del tachigrafo. E in più – ma questo comportamento è stato oggetto di un altro procedimento, in quanto si tratta di un altro reato – minacciava gli stessi autisti di licenziamento laddove non si fossero adeguati alle sue richieste.

I giudici della Cassazione hanno respinto il ricorso promosso dall’imprenditore, sottolineando come nel caso in questione ci sono due attività da prendere in considerazione: da una parte l’omessa attività di sistemazione sui mezzi di impianti finalizzati a prevenire infortuni sul lavoro regolarmente funzionanti, dall’altra una condotta positiva di imposizione, ai danni dei singoli conducenti degli automezzi, di utilizzare accorgimenti o specifici dispositivi, diretti proprio ad alterare il regolare flusso dei dati del tachigrafo digitale. Due fattispecie che emergevano distinte nel caso in questione.

Gli altri punti da segnalare della sentenza riguardano:

  • La conferma che «non sussiste rapporto di specialità tra la disposizione di cui all’art. 179 (secondo comma) C.d.S. e quella di cui all’art. 437 cod. pen.», vista la diversità non solo (e non tanto) dei beni giuridici tutelati (vale a dire la sicurezza della circolazione stradale e la sicurezza dei lavoratori, ma anche della natura strutturale delle due fattispecie sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo;
  • La conferma che il cronotachigrafo è «un apparecchio per sua natura destinato alla prevenzione d’infortuni sul lavoro» e di conseguenza «il datore di lavoro che imponga l’alterazione di un apparecchio avente finalità di prevenzione degli infortuni, risponde del reato di cui all’articolo 437 Codice Penale, atteso che tale condotta rientra nella previsione tipica della ‘rimozione’». E per «rimozione» – ha chiarito la Corte – può intendersi anche l’attività diretta a frustrare il funzionamento dell’apparecchio, anche a prescindere che il veicolo circoli o meno in strada. 

La conclusione di questa vicenda è spiazzante. Giacché dopo tutti questi chiarimenti e dopo aver respinto il ricorso dell’amministratore di società di autotrasporto, la Cassazione rileva l’intervenuta prescrizione del reato. Vale a dire, tenuto che della data dell’ultimo rinvenimento dei magneti avvenuto tramite perquisizione del 13 ottobre 2013, la prescrizione del reato è scattata tra il novembre del 2020 e il 29 aprile 2021.
Da qui la Cassazione l’annullamento senza rinvio, almeno per gli effetti penali, della sentenza impugnata, in quanto il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
Insomma, il principio rimane valido, ma nel caso di specie è trascorso troppo tempo per fare giustizia.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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