Quando Papa Giulio II chiese a Michelangelo: “Svelami il segreto del tuo genio. Come hai fatto a creare il David, il capolavoro tra i tuoi capolavori?”, Michelangelo gli rispose: “È stato semplice. Mi sono limitato ad eliminare tutto ciò che non apparteneva al David”.

Pur non essendo un addetto ai lavori nel senso vero e proprio del termine, questa frase di Michelangelo mi ha invogliato a portare un contributo al vivace dibattito sul futuro del nostro settore attualmente in corso su Uomini e Trasporti (leggi gli articoli precedenti: Marciani, Mori, Peron, Donati, Spirito, Ruggerone, Rampinelli)
Pur non avendo mai lavorato direttamente in aziende di trasporti o logistica, ormai da diciotto anni, mi occupo di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di trasporti per conto di TIMOCOM, uno dei principali marketplace del trasporto in Europa. Grazie al confronto diretto con imprenditori e professionisti di aziende di trasporto e spedizione di tutta Europa, ho avuto la fortuna di poter capire meglio le sfide, gli obiettivi e, a volte, anche le frustrazioni con cui molti di voi hanno a che fare.
Ecco che allora, ispirato dalla risposta di Michelangelo al Pontefice, non utilizzerò lo spazio concessomi per proporre l’ennesimo elenco delle cose che è necessario fare per risollevare le sorti dell’autotrasporto italiano. Non credo infatti di averne le competenze e lascio quindi che a farlo siano esponenti più accreditati di me.
Come capire che cosa eliminare
Quello che invece voglio proporvi, è di approcciare il tema in modo controintuitivo e di elencare non le cose da fare, bensì tutte le cose che NON dovremo fare per garantire un futuro competitivo al nostro settore.
Vi propongo un esperimento: se potete, prendete una penna o attivate le note del vostro cellulare e scrivete di getto una serie di cose che vi rendono felici. Per farlo, avete 45 secondi di tempo. Fatto?
Bene, adesso fate la stessa cosa elencando le cose che NON vi rendono felici o vi danno fastidio. Fatto?
Cosa avete notato? Anche per voi il secondo elenco è stato più semplice da completare ed è magari più nutrito del primo? Se così è, è tutto normale. Siete in ottima compagnia.
La specie umana, infatti, è programmata per pensare con maggiore facilità alle cose negative, rispetto a quelle positive. Sfruttando questa dinamica, è quindi più semplice ed efficace, quando ci prefiggiamo un obiettivo, mettere a fuoco ed escludere subito dal nostro campo di azione, tutte quelle cose che, sulla base delle nostre conoscenze e della nostra esperienza, riteniamo che ci ostacoleranno o, addirittura ci allontaneranno dal nostro traguardo. Per dirla con Michelangelo, non dobbiamo focalizzarci sul David, ma su tutto ciò che David non è ed eliminarlo con il nostro scalpello, un colpo dopo l’altro.
La via negativa per migliorare
Questa è la cosiddetta via negativa, un metodo teorizzato ed utilizzato già dai pensatori della Grecia antica e poi ripreso ai tempi dei Romani nella Teologia negativa di Plotino: non è possibile dire ciò che è Dio, è possibile dire solo ciò che non è Dio. Arriveremo così a definirlo per eliminazione, esclusione e riduzione.
Ora, lasciamo da parte la teologia e torniamo al nostro David. Immaginiamo il mondo della logistica e dei trasporti come una meravigliosa scultura, a cui tutti, più o meno consapevolmente, stiamo lavorando insieme. Quali sono le parti superflue, le impurità, i difetti che – con certezza – sappiamo dovranno essere eliminati, un colpo di scalpello dopo l’altro?
Ecco le cose da non fare
Prendendo spunto dagli eccellenti contributi dei professionisti che mi hanno preceduto, ho iniziato a stendere qui sotto un elenco delle cose da NON fare, per svelare la bellezza del nostro settore. Anche io mi sono permesso di dare due colpi di scalpello argomentati, che potrete leggere alla fine dell’elenco (punti 6 e 7):
- Aderire ad associazioni di categoria senza aver preso conoscenza del loro statuto e averne condiviso la visione
- Accettare “qualsiasi” prezzo dalla committenza e lavorare con “qualsiasi” ufficio acquisti
- Fondare l’ennesima microimpresa di trasporto
- Credere ad un Deus ex-Machina, ossia al legislatore che prima o poi calerà dall’alto chissà quale soluzione
- Trascurare la formazione e la crescita dei propri team, a tutti i livelli e in tutti i comparti aziendali: dal management, passando per l’ufficio traffico e il magazzino fino ad arrivare agli autisti
- Investire in tool per digitalizzare i processi aziendali, senza investire sulle persone che dovranno poi utilizzarli.
Logistica e autotrasporto pagano ancora oggi lo scotto di essere stati uno degli ultimi settori a salire sul treno della digitalizzazione. Questo, dal mio punto di vista, è accaduto principalmente per motivi di natura culturale e generazionale.
Da un lato, infatti, il trasportatore ha sempre subito il fascino del camion, quale unico gioiellino a cui prestare tante attenzioni ed ha, nel frattempo, trascurato l’avvento di alcune innovazioni tecnologiche, soprattutto in ambito digitale, essenziali per il miglioramento dei servizi offerti e della performance della sua impresa. Dall’altro lato, il carattere famigliare di molte imprese di autotrasporto italiane ha permesso una accelerazione tecnologica solo nel corso dell’ultimo decennio, ossia il momento in cui, in molte aziende è avvenuto il passaggio di consegne padri-figli/e al comando dell’impresa. Per questo motivo è oggi di fondamentale importanza che in ogni azienda di trasporti ci siano persone digitally fit, ossia in possesso delle adeguate competenze digitali, in grado di rispondere alle richieste ed esigenze di quella committenza virtuosa che fa, accanto al prezzo, anche della qualità del servizio offerto uno dei criteri utilizzati nel processo di selezione dei vettori. - Soccombere alla cultura del “noi facciamo solo trasporti nazionali”.
È risaputo che il nostro tessuto industriale e manifatturiero sia composto principalmente da medie aziende, fortemente orientate all’export. Parimenti, sappiamo anche che il franco-fabbrica sia – per distacco – l’incoterms con il maggiore sex appeal per la nostra committenza. Questa combinazione si traduce in diversi miliardi di euro di fatturato che il sistema Italia regala ogni anno agli operatori logistici stranieri. Nel dibattito comune, siamo spesso portati ad additare la responsabilità di questa abitudine unicamente alla committenza. Ma, se un nostro produttore di piastrelle che dall’Emilia esporta in Germania, lascia l’organizzazione del trasporto nelle mani del suo cliente tedesco, siamo sicuri che ciò dipenda solo da una sua deliberata scelta strategica? Come possiamo escludere la sua potenziale disponibilità a collaborare con un fornitore di trasporti e logistica della sua provincia, che gli garantirebbe maggiori sicurezze e maggior controllo sulla movimentazione della sua merce e, forse, anche la possibilità di spuntare un prezzo migliore con il suo cliente tedesco? La realtà è che sono ancora troppo pochi i trasportatori italiani in grado, per struttura e competenze, di garantire un servizio simile al nostro produttore di piastrelle. Nel frattempo, lo spedizioniere tedesco che organizza il trasporto e il vettore polacco che lo effettua ringraziano vivamente…
Concludendo, il mio vuole essere un suggerimento per imprese, associazioni e decision maker del settore su come integrare il loro metodo di approccio alle complesse ed eterogenee problematiche che movimentano il nostro settore.
Se queste righe vi hanno ispirato, armatevi di scalpello ed iniziare a scolpire!