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Salario minimo per gli autisti di tutta Europa: ecco la proposta che la Fai porta a Bruxelles

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La Francia mette il divieto di riposo notturno in cabina nel fine settimana, la Germania applica (anche se per adesso lo sospende in attesa del parere della Commissione UE) il salario minino garantito di 8,5 euro/ora, l’Italia inverte l’onere della prova nel trasporto di cabotaggio applicando a carico del vettore straniero sanzioni fino a 15.000 euro, ma anche altri paesi in maniera «meno spinta» hanno fatto qualcosa. Cosa mirano a combattere tutte queste misure? E, soprattutto, qual è il problema? Semplice: da quando nell’Europa comunitaria sono entrati alcuni paesi dell’Est che registrano costi del lavoro che ammontano a meno della metà di quelli medi del resto d’Europa, si è innescata una gara al ribasso pericolosa. È tempo di individuare una soluzione. E siccome le normative che garantiscono la libera circolazione dei lavoratori sono europee, è a Bruxelles che bisogna individuarla. Ed ecco perché Pasquale Russo, segretario di Fai-Conftrasporto, ha deciso di andare ad affrontare il problema alla radice. Così il prossimo 26 febbraio andrà a porre la questione direttamente alla commissione Ue Affari Sociali e a proporre che venga fissato un salario minimo per tutti i lavoratori comunitari ad alto tasso di mobilità. A quanto debba ammontare questo salario andrà ovviamente discusso. A titolo esemplificativo si può parlare di una base di 1.000 euro mensili. Ma l’importante è che ci sia una sola normativa in ambito europeo, evitando così che i singoli paesi innalzino proprie e spesso contraddittorie barriere antidumping.

L’iniziativa di Russo avviene peraltro nel momento in cui in Italia si registrano altri nuovi preoccupanti fenomeni, ripresi da molta stampa, peraltro orientata politicamente in modo differente. Tanto per fare un esempio, sia L’Espresso sia il Giornale hanno dato spazio a quel fenomeno che vede molti autisti italiani prendere la residenza in paesi dell’Est Europa, in modo tale che a quel punto possono iscriversi alle agenzie locali del collacamento e quindi sperare di sottoscrivere un contratto di somministrazione con una qualche azienda di autotrasporto italiana e tornare così a lavorare nello Stivale come distaccati. Con una busta paga che nel netto si può avvicinare a quella dei “vecchi” colleghi, ma che è alleggerita di quasi il 50% per quanto riguarda la contribuzione previdenziale e assistenziale.

D’altra parte il mercato è già strutturato così: secondo i calcoli di UilTrasporti il 30% dei 400mila autisti contrattualizzati a livello nazionale sono in somministrazione. In pratica all’interno della stessa azienda ogni tre autisti ce n’è uno di serie B e che a lungo andare rischia di erodere la terra sotto ai piedi anche agli altri. Senza considerare che chi ha deciso di rimuovere il problema alla radice ha fatto anche di più, trasferendo direttamente l’attività all’estero. Per carità, per molti sarà stata anche un’esigenza organizzativa e logistica, resa possibile dalle normative, per altri invece si è trattato di un escamotage per cercare di contenere i costi e rimanere competitivi. Ma al di là del giudizio verso costoro, il dato di fondo è che in questo modo emigra non soltanto un settore strategico dell’economia, ma soprattutto si porta dietro ricchezza e posti di lavoro. E così da un problema di settore, questo fenomeno si trasforma in un’emergenza nazionale.
Insomma, se la soluzione arriva dall’Europa tanto meglio. In caso contrario bisognerà affrontare il problema anche in Italia. Prima che sia troppo tardi. 

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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