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Quattro passi verso i 100 anni. A colloquio con Andrea Bertoja, dell’omonima azienda di allestimenti

Nata nel 1926 per realizzare tutto quanto potesse essere trainato su gomma – compresi i rimorchi per spostare gli elefanti del circo Orfei – la Bertoja si specializzò nelle macchine per mezzi speciali, per movimento terra e per carichi concentrati con il passaggio alla terza generazione. Quello alla quarta ha fornito invece una spinta verso l’innovazione e verso il decentramento delle responsabilità

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Fondata a Pordenone nel 1926 come SA Officine automobilistiche Industriali Bertoja, oggi quella che è una delle società di allestimenti più vecchie d’Italia è diventata una società per azioni interamente controllata dalla famiglia del fondatore, che continua anche a gestirla. Un primato che condivide, nel settore, con pochissime altre realtà, come la famiglia Rolfo di Bra o i Menci di Arezzo.
«Iniziò tutto con il mio bisnonno, Carlo Bertoja – racconta Andrea Bertoja, responsabile commerciale e vicepresidente, che con i suoi 52 anni rappresenta la quarta generazione della famiglia – di cui però so molto poco, perché parliamo di un periodo molto lontano, anche perché gli succedette presto mio nonno, Carlo Zambon Bertoja». Erano anni in cui, continua Bertoja, «in fabbrica si faceva di tutto, compresi gli assali, i carri agricoli e anche i primi mezzi stradali. So per certo, però, che nel passaggio da mio nonno a mio padre Pierluigi, attualmente ancora presidente, avvenne una scelta fondamentale: quella di specializzarsi, di concentrare l’esperienza acquisita in un solo settore. Se cioè i miei due avi realizzavano tutto ciò che si muoveva su gomma e poteva essere trainato, dai mezzi per pulire le strade, ai rimorchi per trasportare gli elefanti per il circo Orfei, con mio padre si è deciso di concentrarsi sulla tipologia di allestimento legata agli eccezionali». Un passaggio decisivo, quasi controcorrente, perché implicava – prosegue uno dei titolari della Bertoja – «la progettazione di macchine per mezzi speciali, per movimento terra e per carichi concentrati, quando molti altri costruttori esordivano o proseguivano a fare centinati e telonati per varie missioni, ma tutti abbastanza uguali, in cui la progettazione languiva e la noia aumentava. Nel senso che non vi erano tante cose da studiare, per concentrarsi su quantità e sconti. La nostra specializzazione ci ha consentito quindi di crescere e di diventare un Gruppo che fattura 16 milioni di euro, ancora molto presente in Italia, ma in crescita all’estero».

Dall’officina alle reti

Se l’ingresso in azienda della terza generazione ha segnato una svolta decisa, l’avvento della quarta è stato invece più morbido o – come lo definisce Andrea Bertoja – «leggero», seppure con una forte iniezione di innovazione. «Di fatto – spiega – i primi due anni li ho trascorsi in officina. Mio padre avrebbe voluto che finissi gli studi di ingegneria, perché in questo modo avrei potuto continuare a essere autonomo e a fare tutto da solo. Nella sua mentalità accentratrice, un ingegnere che si firma i progetti in autonomia poteva seguire tutto in prima persona. Quindi, non ne voleva sapere di avermi in officina. Ma io ho insistito e da lì, oltre che a saldare, ho iniziato a conoscere tutti i passaggi produttivi. Ma soprattutto, avendo carta bianca sull’innovazione, spingevo molto sull’elettronica, sulla rete, sui nuovi programmi di progettazione in 3D. C’era letteralmente da tirare i nuovi cavi, da cambiare le prese. Fino ad allora ogni ufficio aveva un computer, ma nessuno era connesso agli altri e mio padre per informarsi su tutto chiamava i singoli reparti. Rammento che quando cambiammo i telefoni, mio padre urlava dal suo ufficio perché non riusciva più a chiamare nessuno. E questo stesso approccio l’ho avuto nella realizzazione dei rimorchi, rendendoli più compatibili con centraline e sensori».

La prima trattativa non si scorda mai

Ma il racconto più movimentato di Andrea Bertoja è quello relativo al suo ingresso in area commerciale, avvenuto a seguito di un piccolo incidente a una mano, che non gli impedì di completare la rete, di aggiornare i listini e di cominciare a capire chi erano i clienti dell’azienda. Poi un giorno – ricorda in maniera nitida – «arriva una telefonata del titolare di un’azienda interessato a un nostro veicolo: terminata la conservazione vado da mio padre a riferirgli che attendeva da noi una proposta. Lui mi guarda e mi fa: “La ventiquattrore ce l’hai, i listini li ha sistemati, a questo punto prendili e vai dal cliente”. La cosa mi spiazza: non ero mai uscito dalla fabbrica per una trattativa! Comunque vado. Chiamo mio padre al telefono decine di volte per avere conferme, ma alla fine riesco a vendere il semirimorchio. E così iniziai a capire come si stabilisce una contrattazione, come ci si rapporta con un cliente, come si applicano gli sconti. E mentre tornavo in azienda, mi sembrava quasi che l’auto, invece di toccare terra, letteralmente volasse».
Fu una lezione importante, ma coincise anche con una consapevolezza: «Mio padre sapeva tutto in prima persona, gestiva dagli acquisti alle consegne. Io avrei fatto la stessa cosa, ma tramite i miei responsabili. La grande differenza tra le due generazioni è stata essenzialmente qui. Anche se poi devo riconoscere che lui mi ha sempre dato fiducia e mi ha lasciato anche sbagliare in alcuni casi. E questo ha reso il passaggio estremamente semplice». E, in qualche modo, mai ultimato del tutto. Oggi, infatti, se Andrea Bertoja è vicepresidente, suo padre Pierluigi, a 80 anni, detiene ancora la carica di presidente.
La quinta generazione intanto, almeno quella espressa dai tre figli di Andrea, per ora non ha varcato i cancelli aziendali. Il primo è medico, il secondo è un ingegnere del suono e la più piccola frequenta il liceo classico. Ma mai dire mai…

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