Veicoli - logistica - professione

HomeRubricheAnche io volevo il camionRoberta Marchesi e Giulia Donatiello: nuove generazioni in cabina

Roberta Marchesi e Giulia Donatiello: nuove generazioni in cabina

Amiche da oltre dieci anni, unite prima dalla passione per le moto e oggi anche da quella per l’autotrasporto. Roberta e Giulia sono le uniche camioniste della Foppiani Trasporti. Due giovani donne che stanno costruendo il proprio futuro dietro al volante e che si raccontano in questa intervista doppia

-

Sono giovani, entrambe poco più che trentenni. Una più timida, l’altra più spigliata. Colleghe, ma prima di tutto amiche. Un’amicizia nata in sella a una moto più di dieci anni fa. Oggi Roberta Marchesi e Giulia Donatiello sono anche le uniche due camioniste della Foppiani Trasporti di Corsico.

Una guida la motrice, l’altra il furgone, ma sognano già in grande. Entrambe condividono una passione che viene da lontano: quella per i motori. Due donne, due percorsi diversi, ma una scelta in comune: trasformare la propria passione in lavoro, sfidando stereotipi e asfalto.

Giulia, Roberta, mi raccontate come è nata la vostra amicizia?

Roberta: È nata grazie alla passione per le moto. All’inizio ci seguivamo sui social ma non ci eravamo mai viste. Poi, una sera di circa dieci anni fa, Giulia mi ha riconosciuta a un raduno. Io sono timidissima, lei invece più spigliata: mi è venuta incontro e mi ha detto «Ma tu sei Roberta!». È nata subito una bellissima amicizia costruita poi con il tempo, uscendo insieme in moto.

Giulia: All’epoca eravamo ancora poche ragazze a girare in moto, per questo cercavamo di incontrarci e sostenerci. Io e Roberta ci siamo conosciute proprio a uno dei raduni settimanali di Corsico e da quell’incontro siamo diventate inseparabili.

Che moto guidate oggi? E da dove nasce la passione per i motori?

Roberta: Io ho una Yamaha MT-09 del 2019. La passione arriva da mio padre, motociclista da sempre. Fin da piccola mi portava ai raduni e alle gare di Superbike, e così mi ha trasmesso questa passione. A 15 anni ho preso il patentino e pian piano sono salita di cilindrata fino alla moto attuale.

Giulia: Io guido una Honda CBR600RR. Sono sempre stata un maschiaccio, con la passione per i motori. Mia mamma non voleva che prendessi il patentino, così a vent’anni ho iniziato in pista con le minimoto e a 24, dopo la patente, ho preso il CBR, la mia prima vera moto.

Dalla moto al camion: com’è avvenuto il passaggio?

Roberta: Nel 2020 mi trovavo senza lavoro, così portai il curriculum a un centro per l’impiego e mi proposero un lavoro come corriere per Amazon. Quell’esperienza mi fece capire che guidare mi piaceva, ma i ritmi di un corriere non facevano per me. Così ho deciso di provare con la patente del camion e più studiavo, più mi appassionavo. Non sono mai stata una grande studentessa, ma lì era diverso, sentivo che era la mia strada. E intanto guardavo Giulia, sapevo che il suo lavoro non la rendeva felice, né dal punto di vista economico né personale. Mi dispiaceva vederla così e continuavo a dirle di provarci anche lei.

Giulia: Facevo la parrucchiera, ero brava nel mio lavoro ma non mi piaceva l’idea di stare chiusa tutto il giorno in negozio, e soprattutto lo stipendio era basso. La passione per i camion l’avevo già dentro perché mio padre era camionista e da bambina salivo spesso in cabina con lui, ma da sola non avrei trovato il coraggio di cambiare strada. Roberta mi ha spinta a provare col furgone e nonostante la paura di lasciare un lavoro a tempo indeterminato non mi sono mai pentita.

Come hanno reagito famiglie e amici a questa scelta?

Roberta: Mia mamma forse se lo aspettava. In passato avevo provato lavori da commessa o d’ufficio, ma non facevano per me. All’inizio aveva paura che mollassi, come mi era già successo in passato. Adesso però vede che da tre anni lavoro in questa azienda, che mi piace, e ne è felice.

Giulia: Papà era contentissimo, mia mamma invece era più preoccupata, come tutte le mamme. Era dispiaciuta per il lavoro da parrucchiera, ma alla fine ha capito che questo mestiere mi rende felice.

Come siete arrivate nella stessa azienda?

Roberta: Conoscevo già la Foppiani grazie a un amico di famiglia e sapevo che era un’azienda seria. Così, ancora prima di prendere la patente, ho deciso di portare il curriculum. Avevano anche furgoni e avendo già lavorato per Amazon come corriere ho pensato che avrei potuto iniziare da lì. Loro mi dissero che c’era un autista prossimo alla pensione, ma che bisognava aspettare. Intanto io continuavo a studiare e il giorno stesso in cui ho preso la patente sono tornata subito con un altro cv fresco di stampa. Ricordo quelle due settimane di attesa come le più lunghe della mia vita, vivevo con l’ansia, sperando che mi richiamassero. Quando finalmente arrivò la telefonata, ero talmente agitata che chiesi cinque minuti per pensarci. In realtà corsi da mia madre, urlando di gioia, e solo dopo richiamai l’azienda per accettare. Avevo fatto altri colloqui, ma dentro di me sapevo che volevo lavorare lì.

Giulia: Per me è stato diverso. Come ho detto avevo un lavoro fisso come parrucchiera e l’idea di lasciare un contratto a tempo indeterminato mi faceva paura. È stata Roberta a convincermi, mi diceva sempre: «Dai, almeno prova col furgone!». Alla fine mi sono decisa e ho portato anche io il curriculum. Al colloquio mi sono sentita subito a mio agio e così ho capito che il salto valeva la pena.

Oggi siete le uniche due donne in azienda. Che effetto fa?

Giulia: All’interno della nostra azienda ci sentiamo apprezzate e rispettate, nonostante siamo le uniche donne su un totale di circa sessanta autisti. I colleghi ci danno sempre una mano, condividono con noi le loro esperienze e non lo fanno perché pensano che non siamo in grado, ma perché potremmo essere loro figlie e ci vogliono aiutare.

Roberta: È vero, anche se per strada capita ancora di trovare chi ti guarda storto o chi se la prende perché lo sorpassi e poi scopre che sei una donna. In quei casi la prendo con filosofia: è come nelle moto, impari a lasciar correre.

C’è chi dice che quello dell’autista non è un lavoro per donne. Come rispondete?

Giulia: Lo stesso mi dicevano quando presi il CBR: «Non potevi prenderti una moto da donna?». Ho capito che ci sono due tipi di uomini: quelli che hanno paura di sentirsi messi in ombra e ti sminuiscono, e quelli che invece ti rispettano e ti incoraggiano. Una volta un magazziniere mi disse: «Sei l’amica di Roberta? Come fa le manovre lei non le fa nessuno». Ecco, lì capisci che per fortuna non fanno tutti parte della prima categoria.

Roberta: Sì, ci sono ancora uomini che pensano che una donna debba stare a casa e occuparsi solo alla famiglia, ma ci sono anche tanti altri che stimano e apprezzano le donne che fanno questo mestiere. La mentalità sta cambiando, anche se non per tutti alla stessa velocità.

Un’altra frase che si sente spesso è: «I giovani non hanno voglia di lavorare». Cosa ne pensate?

Roberta: Non è così. Il punto è che certi lavori richiedono passione e se non ce l’hai diventa difficile farli. La nostra generazione ha altre abitudini e forse meno voglia di sporcarsi le mani, ma non significa che non ci sia chi vuole lavorare davvero.

Giulia: Io credo che i giovani non abbiano più voglia di lavorare sottopagati. Parlo per esperienza: ho lasciato il mio impiego come parrucchiera perché non mi permetteva di costruirmi un futuro. Questo lavoro invece sì, ti dà autonomia e possibilità di crescere. Abbiamo amici coetanei che fanno gli autisti e stanno già facendo strada.

Fare l’autista significa anche scegliere uno stile di vita non abitudinario, con trasferte più o meno lunghe e a volte anche notti fuori casa. Quanto pesa sulla vostra vita privata?

Roberta: Dipende molto dal tipo di azienda. Ci sono realtà che fanno estero, con viaggi lunghi, e non tutti vogliono uno stile di vita così. Noi facciamo solo nazionale e questo mi permette di mantenere un minimo di vita privata, anche se faccio sempre più spesso trasferte, ma a me non dispiace. Gli imprevisti ci sono, certo, e a volte ti ritrovi a dormire fuori senza averlo previsto. Ma è parte di questo lavoro, bisogna metterlo in conto.

Giulia: Io per ora, guidando il furgone, non dormo fuori. Però anche nelle tratte brevi impari a gestire tempi e imprevisti. La verità è che non mi pesa, anzi, trovo bello godermi la strada e i momenti di autonomia e solitudine.

A proposito di dormire fuori, una delle criticità dell’autotrasporto riguarda le aree di sosta, spesso poco sicure e con servizi carenti. Voi come vivete questo aspetto nella quotidianità?

Giulia: Io vivo meno questo problema, ma da donna so bene che è importante trovare bagni puliti e sicuri. Col tempo impari a conoscere quali posti evitare e quali scegliere.

Roberta: A me invece capita spesso di dormire fuori. All’inizio non avevo idea di dove fermarmi, ma i colleghi più esperti mi hanno dato consigli preziosi: i posti migliori per la sosta, dove mangiare bene, dove trovare docce decenti. Col tempo ho imparato anch’io, a volte scoprendo anche nuovi posti per necessità, per cui quando mi sposto sono tranquilla, anche se è vero che i servizi non sono sempre all’altezza, soprattutto quelli sulle autostrade, che infatti cerco di evitare. 

C’è poi il tema dei costi delle patenti, che sono molto alti. Vi siete scontrate con questo problema?

Roberta: Sì, è vero. Solo per la E ho speso mille euro e tra tutte le patenti si arriva tranquillamente a 5.000 euro. A 21 anni chi li ha, se non pagano i genitori? Io le ho fatte a 27 anni, dopo aver lavorato un po’, e ho vissuto la spesa come un investimento. Ci sono degli incentivi, ma la burocrazia è complicata. Se vuoi davvero attirare i giovani, devi semplificare.

Giulia: Io non l’ho ancora fatta, proprio per i costi. Sto studiando e sono decisa, ma aspetto un contratto a tempo indeterminato prima di fare il passo.

Cosa vi piace di più del vostro lavoro?

Roberta: Guidare, sicuramente. Più mi mandano lontano, più sono felice. A Milano perdi solo tempo nel traffico, invece in autostrada entro nel mio mondo: canto, parlo con altri autisti, mi godo la strada. Per me è libertà.

Giulia: Anche per me è la guida in sé. Amo stare sola al volante, godermi l’alba da sola.  A volte dico al mio compagno che non mi sembra nemmeno di lavorare.

E nel futuro, cosa vi vedete a guidare?

Giulia: Vorrei passare presto alla motrice e poi, un giorno, al bilico.

Roberta: Quando ho fatto la patente puntavo già al bilico. Ora sono in motrice e sto crescendo passo dopo passo. Quest’anno faccio più trasferte e in azienda mi stanno proponendo anche i trasporti eccezionali. Non escludo nulla.

Siete entrate da poco nel Lady Truck Driver Team. Cosa significa per voi farne parte?

Roberta: L’abbiamo conosciuto a un raduno di camion a Giussano, grazie a un collega appassionato che ci ha portate dritto allo stand. Ci ha incuriosite subito e ci hanno accolto benissimo. È bello sentirsi parte di un gruppo dove c’è sostegno reciproco. Come con le moto, c’è stima reciproca verso le altre donne che fanno questo lavoro.

Giulia: Siamo davvero felici di farne parte. Quando capita di incrociare un’altra ragazza del gruppo per strada e ci si saluta, sempre con grande entusiasmo, ti senti parte di qualcosa. Sono momenti preziosi.

E i social? Molte ragazze raccontano lì la loro vita da autiste. Li vedete come uno strumento utile?

Giulia: Io e Roberta seguiamo diversi autisti sui social. Crediamo siano un buon modo per avvicinare i giovani. Le critiche arrivano sempre dai «boomer», quelli che dicono «con le unghie fatte non puoi tirare le cinghie». In realtà noi giovani abbiamo una mentalità più aperta e i social possono aiutare a cambiare percezione.

Roberta: Concordo. C’è chi mi dice «eh, se guidassi un camion di una volta senza servo sterzo non riusciresti neanche a spostarlo». È vero che oggi abbiamo delle facilitazioni che ci aiutano in questo lavoro, e quindi? La tecnologia va avanti, ci semplifica la vita e ben venga così, non c’è nulla di male. Lo stesso vale per i social: chi non crede in questo strumento è perché non è pronto ad accettare il cambiamento.

Chiudiamo con un’ultima domanda: c’è una donna a cui vi ispirate e, se sì, chi è e perché?

Giulia: Sì, mia madre, perché se penso a come vorrei essere nel mio futuro, vorrei essere esattamente come lei, è il mio modello.

Roberta: Io invece non voglio ripetere l’esempio di mia madre, ma da lei ho imparato una cosa importante: non rimandare la vita. Lei ha dedicato tutta la sua vita al lavoro e solo ora, in pensione, se la sta godendo. Io non voglio aspettare, voglio vivere adesso.

close-link