Ancora l’omologazione degli autovelox a fare da protagonista sulle scene dei tribunali italiani. Nella stessa giornata in cui l’ennesima sentenza (n.13996/2025) ribadiva che le infrazioni rilevate da dispositivi non omologati sono nulle, un’altra decisione della Corte Suprema – la n. 13997/2025 – precisava che per ottenere l’annullamento della multa, nel caso in cui il verbale attesti la regolare omologazione dell’apparecchio, non è più sufficiente un semplice ricorso, ma diventa necessaria la presentazione di una querela di falso, ovviamente con maggiori spese e tempi d’attesa più lunghi per il ricorrente.
IL RICORSO
Occorre però fare attenzione, non si tratta di un’inversione di tendenza, come scritto da qualche sensazionalista. Il giudizio conferma l’orientamento secondo cui le multe elevate attraverso gli autovelox siano da annullare, dato che questi strumenti risultano solo approvati, ma non omologati.
Pone però una condizione: se nel verbale è riportato che l’apparecchio con cui è stata accertata la violazione dei limiti di velocità è omologato o conforme a un prototipo omologato (ma sappiamo che non è verità, poiché in Italia nessun autovelox è omologato), il conducente sanzionato non può limitarsi a sollevare dubbi sulla effettiva omologazione in sede di ricorso al Giudice di Pace o al Prefetto, ma deve proporre una querela di falso nei confronti dell’organo di polizia che ha redatto il verbale.
LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Ora, è chiaro che la querela andrebbe sicuramente a buon fine, perché l’informazione contenuta nel verbale risulterebbe non corrispondente al vero. Questo però solo dopo un procedimento civile separato e più complesso, quale è appunto la querela di falso, che, oltre a richiedere l’assistenza di un legale, comporta costi più alti rispetto all’importo della multa che si chiede di annullare e tempi più allungati.
In sostanza, la Cassazione ha posto a carico del guidatore l’onere di dimostrare che quanto dichiarato dal pubblico ufficiale nel verbale non corrisponda al vero. Questo perché – spiega la sentenza – «il verbale di accertamento, in quanto atto pubblico, gode di fede privilegiata» e di conseguenza quanto in esso contenuto, come la scritta «apparecchio debitamente omologato», si presume veritiero fino a prova contraria.
LE CONSEGUENZE
Vedremo se questo giudizio farà scuola, ma potenzialmente si tratta di una sentenza molto penalizzante per i conducenti di veicoli. Alle Forze di Polizia basterebbe infatti – ma vogliamo credere alla buona fede dei tutori dell’ordine – scrivere sul verbale che l’autovelox è omologato, o comunque conforme al prototipo omologato, per scoraggiare gran parte dei ricorsi. È anche vero che in questo caso si esporrebbero al rischio di una querela per falso, che comporta pesanti effetti anche penali (si rischia una condanna da tre a dieci anni), qualora il multato decidesse di andare fino in fondo ugualmente.
Inoltre la proposizione di ben due giudizi – anche se, ripetiamo dall’esito positivo sicuro – comporterebbe un aggravio sproporzionato di costi per il cittadino, per giunta su un’inadempienza dello Stato, che non ha mai varato il decreto tecnico attuativo dell’omologazione.
Comunque per evitare queste complicazioni alcune Polizie locali hanno già provveduto ad eliminare dai verbali la dizione «omologato». Sulla questione si è pronunciato anche il Codacons, affermando che i cittadini potranno rivalersi per le ulteriori spese di giudizio nella querela di falso sulla pubblica amministrazione e chiedere il rimborso dei costi sostenuti. Anche qui però con notevoli danni erariali e con il probabile intervento della Corte dei Conti.
A questo punto non sarebbe meglio una soluzione più drastica per fermare il caos in materia? Ovvero spegnere gli autovelox in tutta Italia in attesa del decreto del MIT sull’omologazione degli apparecchi? Ma dubitiamo che questa strada verrà percorsa.