Veicoli - logistica - professione

HomeProfessioneLeggi e politicaContributo ART, ciao ciao. Il versamento soppresso dal decreto «Omnibus»

Contributo ART, ciao ciao. Il versamento soppresso dal decreto «Omnibus»

L’autotrasporto è stato finalmente escluso dal pagamento della quota annuale all’Autorità di regolazione dei trasporti. La richiesta era stata annullata dal TAR, fino al 2019, quando una «manina» aveva inserito, nel decreto per il crollo del Ponte Morandi, un obbligo (controverso e difficile da calcolare) per gli autotrasportatori che operavano con strutture soggette a controllo

-

Pochi temi hanno tenuto compattamente unito l’autotrasporto italiano negli ultimi anni. Da sempre diviso dagli interessi spesso contrastanti di aziende strutturate da una parte e imprese artigiane dall’altra, le associazioni di rappresentanza hanno trovato una coesione intaccabile solo in due occasioni: sul SISTRI e sul contributo ART. Eliminato nel 2019 – sotto il peso di inefficienze e di inchieste giudiziarie – il controverso sistema di tracciabilità dei rifiuti, non restava che il versamento richiesto dall’Autorità per la regolazione dei trasporti (ART) a un settore che non è regolato ma liberalizzato.

L’autotrasporto viene escluso

Nell’afa di questo agosto si è sciolto anche il secondo problema. Quasi a sorpresa, il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, è riuscito a inserire nel decreto legge «Omnibus», varato dal Consiglio dei ministri martedì 8 agosto (e pubblicato due giorni dopo in Gazzetta Ufficiale) un articolo – il 20 – che esclude l’autotrasporto dal contributo annuale e – per maggior sicurezza – sopprime il contributo stesso «per gli operatori economici dell’autotrasporto».
Un salasso (ingiustificato) in meno per il settore che, seppure limitato alle imprese di maggiori dimensioni, finiva per incidere in maniera significativa sui bilanci delle aziende. Dopo un balletto di variazioni tra quota da versare e tetto da cui partire, negli ultimi anni la richiesta colpiva per lo 0,6 per mille le aziende con fatturato minimo di 3 milioni di euro (ma dal 2022 il tetto era stato alzato a 5 milioni e nell’ultima richiesta – per il 2023 – la quota era scesa allo 0,5 per mille) e dunque la somma più bassa che un’impresa era costretta a versare ammontava a 1.800 euro. Ma una società da 100 milioni di euro di fatturato (e in Italia ce ne sono decine) finiva per dover pagare un contributo di 600 mila euro.
Ciononostante, più che la spesa, a irritare il settore era la completa infondatezza del contributo. Per questo tutte le associazioni di categoria ne avevano chiesto la soppressione (ottenendo, finora, soltanto la sospensione del pagamento, spesso dopo che lo stesso era stato effettuato e comunque non quella del 2019), sostenendo – per usare le parole della lettera inviata da tutte le rappresentanze presenti nell’Albo a Salvini e al suo vice, Edoardo Rixi, lo scorso marzo, determinando probabilmente lo sblocco della situazione – che le imprese del settore «non sono interessate dal concreto esercizio di competenze attribuite all’Autorità e il contributo assertivamente dovuto è utilizzato per finanziare attività non regolatorie, bensì competenze amministrative di tipo generico, che debbono essere a carico della fiscalità generale».

La «manina» nel decreto Genova

Così come ulteriore elemento di irritazione era stata la pervicacia con cui l’ART ha richiesto ogni anno il contributo fin dal suo insediamento – nel 2013 – nonostante le bocciature inflittegli – appunto ogni anno – dal TAR del Piemonte (l’ART ha sede a Torino), fino al 2019, quando una «manina» era riuscita a infilare, nel decreto legge per la ricostruzione del ponte Morandi di Genova e i sostegni alle popolazioni colpite, un emendamento che obbligava al pagamento del contributo «gli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l’esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge». Una definizione contorta e tirata per i capelli che aggiungeva ulteriore confusione a una richiesta già tormentata da variazioni continue dell’entità e delle imprese soggette.
Sulla base di tale dizione, infatti, l’ART avrebbe dovuto richiedere il contributo, calcolandolo soltanto sulla quota di fatturato realizzato come «fruitori» di servizi soggetti a regolazione nel settore dei trasporti: terminal portuali, scali ferroviari, aeroporti e interporti, e così via. Il che ha creato confusione – con conseguenti azioni giudiziarie – sull’entità del contributo. Tant’è che ai primi del 2022, l’ART si è rivolta alla Guardia di Finanza per acquisire i dati relativi al fatturato delle imprese di trasporto degli anni 2017, 2018 e 2019, su cui calcolare i contributi degli anni successivi, quelli che il decreto Genova aveva reso richiedibili e che il Consiglio di Stato aveva santificato.

Un’indagine surrettizia

Non riuscendo neanche con le Fiamme Gialle a venire a capo della quota di fatturato da tassare, alla fine dello scorso anno l’Autorità presieduta da Nicola Zaccheo ha deciso di avviare un’indagine conoscitiva su autotrasporto e logistica, alla quale però molte associazioni si sono rifiutate di partecipare. «Sembra finalizzata ad acquisire surrettiziamente elementi puramente formali di strumentalità regolatoria», ha protestato il presidente di Confetra, Carlo de Ruvo, e il segretario generale di Fiap, Alessandro Peron, gli ha fatto eco: «Nessun suggerimento occulto all’Autorità». Ma è stato l’ultimo colpo di coda. Il decreto di Ferragosto ha reciso di netto quel nodo che l’autotrasporto cercava di sciogliere da dieci anni.
Tutto finito, allora? Macché. Resta uno strascico doloroso: se ne è fatto carico de Ruvo. «Il Governo», ha detto, «ha accolto solo parzialmente l’istanza della Confetra che aveva richiesto che tale esonero comprendesse tutte le attività di trasporto e logistica unitamente a una risoluzione delle contribuzioni pregresse oggetto di contenzioso, nonché una necessaria nuova e chiara ridefinizione della relativa disciplina e dei criteri applicativi». E Peron si è associato anche su queste richieste.
Non è escluso, perciò, che le istanze avanzate da De Ruvo e da Peron siano raccolte nel dibattito sulla conversione del decreto Omnibus e diventino un emendamento che allarghi la platea degli esentati dal contributo per evitare una discriminazione tra autotrasporto merci e altri settori contigui che potrebbe essere letta da Bruxelles come un aiuto di Stato. Insomma, il contributo all’ART a carico del trasporto merci su strada è sparito, ma ha portato con sé anche la compattezza – occasionale – del settore. Perché, da qualche parte, la saga continua.

Post scrittum

Forse «pervicacia» (Treccani: «perseveranza ostinata; insistere con p. nell’errore») è un’espressione troppo misurata. Pochi giorni dopo il decreto governativo, il presidente Zaccheo, nel presentare in Parlamento il rapporto 2023 dell’ART, ha chiesto di riapplicare il contributo all’autotrasporto, minacciando di scaricare la perdita sulle altre categorie. O, meglio, di non applicare loro le riduzioni ventilate.

Furibonde le reazioni del settore. Il presidente di FAI, Paolo Uggè, ha ribattuto a caldo: «Non siamo il vostro bancomat», aggiungendo che «è poco dignitoso ventilare ripercussioni sull’aliquota per gli altri». E Peron, in vista del dibattito sulla conversione del decreto, ha messo le mani avanti rispetto ad altre «manine» come quelle entrate in funzione per il decreto Genova, affermando di «ritenere non esaurita la nostra azione di lobby». Perciò, ha avvertito, su questo tema «l’attenzione della Fiap è massima».

Redazione
Redazione
La redazione di Uomini e Trasporti

close-link