Nel sistema portuale italiano, le AdSP svolgono un ruolo cruciale per la pianificazione, lo sviluppo e la gestione degli scali marittimi. Tuttavia, le nomine dei presidenti continuano a subire rallentamenti significativi, con conseguenze dirette sulla funzionalità dei porti e sull’intero comparto logistico nazionale. Negli ultimi anni, diversi porti sono rimasti a lungo senza guida stabile o con presidenti in regime di proroga. Una situazione che mina la capacità di programmazione, rallenta gli investimenti e indebolisce la competitività del sistema portuale italiano.
Ma quali sono le cause di questi ritardi? Le nomine dei presidenti delle AdSP, pur avendo una cornice istituzionale definita, sono influenzate da logiche politiche. Il Ministro delle Infrastrutture propone, ma è necessaria l’intesa con i Presidenti delle Regioni coinvolte. Questo meccanismo, fondato in teoria su un principio di cooperazione istituzionale, si trasforma spesso in terreno di mediazioni politiche, equilibri partitici, veti incrociati. Ne derivano ritardi, soprattutto quando l’intesa politica tra governo centrale e governo regionale è debole o conflittuale.
Il sistema portuale italiano continua a soffrire di assenza di una regia nazionale forte e coerente. Le nomine dei presidenti delle AdSP, in molti casi, sembrano rispondere a esigenze territoriali o dinamiche di rappresentanza, più che a criteri legati a un disegno di sviluppo del sistema logistico e marittimo nazionale. Ciò porta a nomine tardive, non sempre fondate su competenze tecniche e manageriali, ma su logiche di equilibrio tra forze politiche.
Inoltre, il processo di nomina è articolato in più fasi: proposta ministeriale, intesa con la Regione, parere parlamentare e decreto del Presidente della Repubblica. Ogni passaggio, seppur pensato per garantire trasparenza e condivisione, può tradursi in un percorso a ostacoli. Basta un disaccordo per bloccare il procedimento per settimane o mesi. Non mancano in Italia profili professionali di elevata competenza nel settore. Tuttavia, spesso le nomine diventano frutto di compromessi più che di scelte basate su competenze. La mancanza di una short list di candidati qualificati, selezionati tramite criteri oggettivi, alimenta confusione e lentezza.
Nel frattempo, i porti restano senza guida o con presidenti in proroga tecnica, con poteri limitati e legittimazione politica indebolita. In alcuni casi, le nomine sono state impugnate davanti ai tribunali amministrativi, aggravando l’instabilità e frenando le decisioni strategiche. Infine, la centralizzazione del processo decisionale presso il ministero, in assenza di strumenti di coordinamento con le Regioni e le comunità portuali, determina tempi lunghi e mancanza di responsabilità diffusa. Il modello attuale non valorizza in pieno le istanze dei territori né incentiva la selezione di profili realmente capaci di guidare i porti in un contesto internazionale altamente competitivo. Il sistema portuale italiano non può permettersi vuoti di potere. Serve una riforma della governance che garantisca tempi certi, trasparenza nella selezione dei presidenti, criteri meritocratici e indipendenza dalla politica. In un contesto globale in cui i porti sono snodi fondamentali per l’economia e la sicurezza, l’Italia deve dotarsi di una macchina decisionale all’altezza delle sfide. La riforma per ora si è persa nelle nebbie. L’attualità restituisce solo la spartizione delle poltrone.