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Interporti, l’ecosistema in cui i grandi aiutano i piccoli. L’allarme di Confindustria e CCAA sulla nuova legge quadro

La riforma è arrivata alle battute finali: si attende l’ok dell’aula di Montecitorio nei prossimi giorni, ma le Camere di Commercio, Confindustria, Fermerci e Assologistica lanciano l’allarme: “Principi di incostituzionalità”. Secondo lo studio legale Donativi e Associati ci sarebbe il rischio “di una compressione della libertà economica”. “Decida il mercato – dice Leopoldo Destro – non leggi che possono essere male interpretate”, mentre Santocono, presidente della Camera di Commercio di Padova denuncia il rischio di discriminazione tra gestori e chiede al Parlamento di correggere la norma

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In Italia gli interporti saranno al massimo 30. Il Piano Generale dell’Intermodalità dovrà individuare dove far nascere nuovi nodi strategici, un comitato nazionale avrà un ruolo consultivo a fianco del ministero delle Infrastrutture e Trasporti che nei prossimi mesi dovrà fare una ricognizione per individuare le aree dove mancano strutture e gli interventi da realizzare nei poli logistici già presenti sul territorio. I fondi stanziati per il prossimo trienni arrivano a 25 milioni di euro, ma i soggetti gestori degli interporti, che in Italia sono spesso enti pubblici come Comuni, Regioni e Camere di commercio, sono chiamati a realizzare miglioramenti e nuove strutture in un ecosistema in cui il grande aiuta il piccolo, anche se il tutto si muove in un’ottica di diritto privato in un libero mercato. 

La legge quadro sugli interporti, dopo un lungo iter in Parlamento iniziato nei primi giorni della legislatura a dicembre 2022 con la presentazione della proposta di legge targata Fratelli d’Italia (primo firmatario il deputato Mauro Rotelli), arriva alle battute finali con l’approdo (atteso nei prossimi giorni) in aula a Montecitorio per l’ok definitivo, ma le Camere di Commercio (con quella di Padova in prima linea), Confindustria, Fermerci e Assologistica lanciano l’allarme: “possibili profili di conclamata illegittimità costituzionale”. 

Il ruolo dei gestori

Il dito è puntano sul comma 2 dell’articolo 5 della riforma che obbliga i gestori degli interporti già operativi a farsi carico, anche con risorse proprie, della realizzazione di nuovi scali e dell’adeguamento strutturale di quelli esistenti. In altre parole, società partecipate da enti pubblici legati ai propri territori (come le Camere di Commercio e le regioni) sarebbero gravati dell’obbligo di andare ad investire gli utili lontano dal proprio territorio, a favore di poli logistici che servono altre regioni, in alcuni casi con partecipazioni di aziende private. “L’articolo 5 della pdl è in contrasto con la nostra visione – ha dichiarato Leopoldo Destro, delegato del Presidente di Confindustria Trasporti, Logistica e Industria del Turismo e della Cultura – deve essere il mercato a decidere il futuro degli interporti e non leggi che possono essere male interpretate”.

Limite dalla libertà di iniziativa economica

Secondo una relazione tecnico-giuridica redatta dello studio legale Donativi e Associati, fornita alla Camera di Commercio di Padova e presentata nell’ambito di un convegno alcuni giorni fa, la norma darebbe adito, “a una interpretazione secondo la quale gli attuali interporti più virtuosi dal punto di vista finanziario dovrebbero sobbarcarsi a proprie spese la realizzazione di altri interporti. La norma, così interpretata, si tradurrebbe in una compressione della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), e violerebbe inoltre l’articolo 3 (principio di uguaglianza) perché discriminerebbe il gestore di interporto rispetto a proprietari non gestori e ad altri operatori del settore dei trasporti e della logistica, imponendogli oneri incompatibili con altri doveri legali e precludendo la possibilità di raccogliere capitali privati e finanche di accedere alla quotazione in mercati regolamentati. Inoltre, secondo il parere tecnico giuridico, violerebbe anche gli articoli 42 e 47 della Costituzione perché imporrebbe oneri anche a carico di interporti privati o, indirettamente, di soci privati di interporti a partecipazione pubblica; e gli articoli 23 e 53, perché si tradurrebbe nella imposizione di un onore senza sufficiente copertura legislativa”.

“Il Parlamento cambi la legge”

“Questa legge introduce un approccio dirigista che mina alle fondamenta la libertà di iniziativa economica sancita dall’articolo 41 della Costituzione – dichiara Antonio Santocono, presidente della Camera di Commercio di Padova e di Unioncamere Veneto, nonché presidente di InfoCamere – Imporre agli attuali gestori di finanziare e realizzare nuove infrastrutture senza alcuna garanzia di ritorno economico significa scoraggiare investimenti, ridurre la competitività del settore e penalizzare territori come il nostro che hanno saputo sviluppare modelli virtuosi di interporto. Chiediamo quindi a gran voce a Parlamento e Governo di sanare questa stortura legislativa con un emendamento correttivo del comma 2 dell’articolo”.

La Camera di Commercio di Padova denuncia, inoltre, il rischio di discriminazione tra operatori. “La norma – aggiunge Santocono – colpisce in modo sproporzionato i gestori esistenti, lasciando invece esenti altri soggetti che pure operano nella logistica e nei trasporti. Così si mortifica il ruolo delle eccellenze già consolidate e si mettono a repentaglio posti di lavoro e progetti di sviluppo sostenibile che diversi interporti italiani hanno saputo promuovere negli anni”.

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