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Videosorveglianza vietata se chi controlla le immagini non è il datore di lavoro

Il TAR Lazio ha stabilito che le operazioni di trasbordo della merce non possono essere sorvegliate con impianti video se chi visiona in esclusiva i filmati è persona diversa dal datore di lavoro (nel caso in specie il committente)

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La sentenza di questa settimana è quella con cui il TAR del Lazio (n.15644 del 23 novembre 2022) ha stabilito un principio interessante: la videosorveglianza non può essere permessa se chi guarda il video per controllare le immagini è una persona diversa dal datore di lavoro.

IL FATTO

Un’azienda che svolge attività di autotrasporto per conto terzi aveva stipulato un contratto di appalto con una società, che l’aveva obbligata a installare sugli automezzi un sistema di videoregistrazione, in modo da verificare che le operazioni di scarico dei prodotti avvenissero rispettando le regole di sicurezza e gli accordi contrattuali. Proprio per questo il controllo a distanza avrebbe avuto una durata uguale al tempo di scarico delle merci trasportate.
È palese che un’operazione di videosorveglianza di questo tipo finisce per incidere sul controllo a distanza dell’attività svolta dai dipendenti. Ragion per cui l’azienda ha convocato i sindacati per sottoscrivere un accordo per l’installazione del sistema (in base all’art. 4 della L. 300/1970 – Statuto dei lavoratori). L’intesa, però, non è stata raggiunta. A quel punto la società di trasporto ha chiesto all’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) l’autorizzazione a installare, sui propri mezzi di trasporto dei prodotti della società committente, il sistema di videoregistrazione, così come previsto nel contratto di appalto. Ma anche in questo caso la risposta è stata negativa. L’INL, infatti, ha sostenuto che non poteva essere rilasciata l’autorizzazione nel caso di specie perché il datore di lavoro/appaltatore era soggetto diverso da chi effettivamente avrebbe visionato le immagini raccolte (il committente).

LA DECISIONE

All’azienda, stando così le cose, non è rimasto che impugnare il provvedimento di rigetto davanti appunto al TAR del Lazio. Ma anche in questo caso si è vista respingere il ricorso con la sentenza n. 15644/2022, sostanzialmente con una doppia motivazione.
Secondo il tribunale, innanzitutto, il sistema di videoregistrazione, così come concepito, non è idoneo ad assolvere la funzione di minimizzazione delle conseguenze dannose. È evidente infatti che, siccome il sistema è riconducibile a un soggetto diverso dal datore di lavoro – e richiamandosi anche la tutela del patrimonio aziendale, la finalità di sicurezza e l’incolumità del personale, nonché il corretto adempimento delle procedure organizzative e produttive – manca la possibilità per il datore di lavoro di intervenire in tempo reale in caso di eventi pericolosi per il lavoratore.
In secondo luogo, continua il giudice amministrativo, c’è un problema con il trattamento dei dati personali dei lavoratori, per il quale non esiste né un contratto di lavoro tra i dipendenti e la società committente né il consenso prestato dagli interessati al titolare del trattamento (l’appaltante). In altre parole, il provvedimento richiesto avrebbe sostanzialmente autorizzato il trattamento dei dati da parte non del datore di lavoro, bensì della società committente.
Per rafforzare questi ragionamenti il giudice richiama infine le pronunce della Corte di Cassazione n. 25732 e 25731 del 2021, secondo cui il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori non è legittimo ove non sia sorretto dalle esigenze indicate dalla norma (il già ricordato art. 4 L. 300/1970, che fissa limiti e condizioni per il controllo a distanza dell’attività del dipendente). 

LE CONSEGUENZE

La sentenza è significativa perché ribadisce il principio per cui il controllo fine a se stesso, eventualmente diretto ad accertare inadempimenti del lavoratore che riguardino l’effettuazione della prestazione, continua a essere vietato.
Nel caso specifico, se il provvedimento di autorizzazione fosse stato concesso, l’Ispettorato del Lavoro avrebbe legittimato un’attività invasiva rispetto alla libertà e dignità dei lavoratori, a favore di un soggetto terzo rispetto al datore di lavoro. Senza considerare che in questo modo sarebbe stato precluso alle organizzazioni sindacali l’esercizio delle legittime prerogative di tutela dei lavoratori, in specie per le finalità di repressione della condotta antisindacale rilevante (art. 28 della L. 300/1970).
Ne deriva che un’azienda di autotrasporto, in caso di contratto di appalto, non può accettare una clausola per cui la titolarità e la responsabilità delle immagini acquisite con impianti di videoregistrazione, montate sui mezzi di trasporto, facciano capo esclusivamente al committente o comunque a un soggetto diverso dal datore di lavoro.

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