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HomeRivista 2024400 dicembre 2024Compliance ESG: «Grande opportunità anche per i piccoli»

Compliance ESG: «Grande opportunità anche per i piccoli»

Crescere nel mercato e in competitività tra i benefici immediati. Ma da dove iniziare? «Da un salto culturale – rispondono gli esperti di Economia Pulita – Occorre uscire dalla logica dell’obbligatorietà per guadagnare credibilità e cogliere le opportunità che si stanno aprendo». A partire dal credito agevolato per chi certifica l’impronta ambientale fino alle riduzioni fiscali per chi inquina meno

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Un salto culturale importante per guadagnare competitività e mercato, ma anche un modo efficace per rimanere nella catena del valore di grandi e medi committenti, accedere al credito, ottenere agevolazioni fiscali, essere compliance con nuovi adempimenti fiscali. La rendicontazione di sostenibilità, introdotta con la direttiva CSRD, non toccherà solo le grandi e medie aziende obbligate ad attuarla, ma ha il potere di espandersi e fluire lungo tutta la filiera delle forniture, fino al più piccolo tassello e di coinvolgere ogni attività della gestione aziendale (interna ed esterna). «Stiamo parlando di una rivoluzione – spiega Alessandro Servadei, Presidente di Economia Pulita, società da anni impegnata nello studio della transizione ambientale con eventi e attività di formazione (il prossimo convegno è a Roma il 26-27 marzo 2025) – che deve partire necessariamente dalla governance, passare attraverso l’aspetto sociale per poi approdare alla sostenibilità ambientale».

Alessandro Servadei, Presidente di Economia Pulita

Il cambio di passo rispetto all’assetto precedente dell’ESG è evidente: il bilancio di sostenibilità era un documento che le aziende potevano produrre di fatto senza standard e, in molti casi, su base volontaria, mentre con la direttiva CSRD la rendicontazione diventa parte integrante del bilancio aziendale con criteri per la sua redazione (EFRAG) e, anche per contrastare fenomeni di greenwashing, con la misurazione certificata dei dati rispetto ai tre criteri (ESG), la proiezione degli obiettivi e il percorso individuato per ottenerli. Inoltre, la normativa Ue impegna gli amministratori nel farsi garante non solo delle proprie performance, ma anche di quelle di fornitori e distributori che, seppure non obbligati a mettere in atto politiche di ESG, saranno chiamati a conformarsi per rimanere nella catena di valore dei committenti. «Si tratta di un processo che abbraccia tutta la filiera – sostiene Francesco Montanari, professore ordinario di diritto tributario nell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara e Coordinatore scientifico di Economia Pulita – Per questo consigliamo alle aziende di non attendere l’obbligatorietà della norma per iniziare a lavorare. Bisogna uscire dai modelli preconfezionati e iniziare per tempo la misurazione dei dati e la valutazione delle procedure interne per arrivare preparati agli appuntamenti normativi, ma anche alle richieste della committenza. Si tratta di una trasformazione necessaria per non perdere competitività e quote di mercato».

Il processo di compliance ESG coinvolge l’intero sistema aziendale e – continua Servadei – «deve poter abbracciare tutte le attività dell’impresa. Partiamo per esempio dalla Governance, la cui revisione deve andare di pari passo con il modello 231, con il codice etico e con altri obblighi organizzativi introdotti di recente dal legislatore, anche per prevenire le crisi, con un lavoro di coordinamento che eviterà duplicazioni di attività e di costi».

«In questa analisi – prosegue il presidente di Economia Pulita – sarà fondamentale il fattore umano (S), atteso che è necessario prevedere azioni finalizzate ad avere personale formato adeguatamente, un assetto sociale in linea con il bilanciamento vita-lavoro dei dipendenti e guardare alle soluzioni migliori per efficientare e ridurre l’impronta ambientale: senza una governance adeguata e dipendenti formati è molto improbabile avviare una reale transizione ecologica. Come detto, non si tratta solo di adempiere a nuovi obblighi di legge, ma di rimanere competitivi sul mercato anche tramite investimenti in innovazione che migliorano l’efficienza dell’azienda».

Il punto di partenza è la certificazione dei dati. Le grandi aziende obbligate alla rendicontazione dal 2025 (per i bilanci da presentare nel 2026) stanno già avviando al loro interno l’elaborazione delle informazioni relative al 2024, anno benchmark per i bilanci 2025. È un’attività che in futuro sarà condotta sotto la guida del revisore di sostenibilità, nuova figura indicata dalla norma per certificare i dati e a cui sono abilitati d’ufficio i revisori già iscritti all’albo, liberi professionisti o società di revisione. Da qui il passo verso tutta la catena del valore è breve; le stesse aziende, infatti, dovranno verificare anche la condotta in termini di ESG dei propri fornitori e distributori. «Le piccole imprese non quotate – chiarisce Servadei – non sono chiamate dalla norma alla compliance ESG, ma l’Europa sta comunque lavorando alla definizione di standard volontari (VSME) per uniformare anche le dichiarazioni di tali realtà che entrano nella rendicontazione in qualità di fornitori di servizi: pure per loro questo passaggio diventa una grande opportunità di crescita e di accesso al credito».

QUALI VANTAGGI SI OTTENGONO DALL’ASSECONDARE I PARAMETRI ESG 
› Si ha l’opportunità di restare nella filiera e nel mercato di riferimento assecondando le richieste della committenza
› Si ha l’opportunità di accedere al credito in modo facilitato in quanto molti istituti bancari valutano i parametri ESG per valutare la solidità di un’impresa
› Si rende l’azienda più credibile agli occhi del fisco

I grandi committenti, infatti, si stanno muovendo con richieste puntuali, mirate a definire accordi, a volte tramite clausole contrattuali, con cui ottenere nuove procedure o tecnologie nelle forniture, spesso accompagnati da un sostegno economico per il ricambio mezzi o per il restyling tecnologico. «I vantaggi di questo passaggio – interviene Montanari – sono evidenti anche per realtà non direttamente coinvolte dalla norma. Dobbiamo uscire dalla logica dell’obbligatorietà per guardare ai benefici della compliance: un’azienda in grado di vantare una solida struttura di governance, di sostenibilità sociale e ambientale, è una realtà più credibile per il mercato, per gli investitori e per il fisco». La compliance ai parametri ESG restituisce infatti il beneficio di rimanere nella filiera e nel mercato di riferimento in conformità con quanto richiesto dalla committenza, permette un accesso al credito facilitato in quanto molti istituti bancari prendono in considerazione questi parametri per valutare la solidità di un’impresa e, last but not least, rende l’azienda più credibile per il fisco, anche alla luce dell’evoluzione di strumenti orientati a varie forme di Cooperative Compliance che vede (e vedrà) coinvolte nei prossimi anni un sempre più vasto numero di aziende, nella logica di un nuovo rapporto di fiducia tra amministrazione tributaria e contribuente. «Nell’ambito della fiscalità ambientale stiamo andando verso un nuovo principio – conclude Montanari – al “chi più inquina più paga” si sta sovrapponendo un “chi meno inquina meno paga”. Insomma, davvero un nuovo capitolo.

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