Può un organo di polizia di uno Stato europeo sanzionare la violazione dei tempi di guida e di riposo commessa da un autista, ma in un altro Stato comunitario? Per la Corte di Giustizia dell’Ue non c’è alcun dubbio: sicuramente sì. E lo ha ribadito a chiare lettere nella sentenza dello scorso 26 settembre 2018 in cui ha confermato un orientamento già espresso in un precedente giudizio (sentenza del 9 giugno, causa C-287/14). Nel caso di specie, in particolare, la Corte era chiamata a valutare il ricorso in cui il Land tedesco di Colonia asseriva che il paese membro in cui si accertava la violazione commessa altrove, doveva semplicemente fornire una comunicazione alle autorità in cui l’impresa aveva stabilimento, in quanto soltanto queste venivano giudicate competenti a emettere sanzioni. Per la Corte di Giustizia europea, però, una tale interpretazione non ha alcuna fondatezza, in quanto non trova coerenza né con gli scopi comunitari e nemmeno con l’attività di trasporto su strada, di per sé adibita a servizi tranfrontalieri.
Al contrario la lettura della Corte di Giustizia trova riscontro nella legislazione italiana in cui esiste una norma – il comma 12, art. 174 del C.d.S. nella versione introdotta dalla Legge 120/2010 – che dice chiaramente che «per le violazioni della normativa comunitaria sui tempi di guida, di interruzione e di riposo commesse in un altro Stato membro dell’Unione europea, se accertate in Italia … si applicano le sanzioni previste dalla normativa italiana vigente in materia, salvo che la contestazione non sia già avvenuta in un altro Stato membro; a tale fine, per l’esercizio dei ricorsi previsti dagli articoli 203 e 204 bis, il luogo della commessa violazione si considera quello dove è stato operato l’accertamento in Italia».