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La responsabilità del vettore in caso di furto della merce in sosta: limiti e soluzioni

Se un vettore perde la merce che gli è stata affidata deve risarcirne il valore al proprietario. Ma non per intero. La legge, almeno nei trasporti nazionali, limita la sua responsabilità in un euro per ogni chilo, salvo i casi di dolo e colpa grave. Una cifra così bassa che tutti i giudici sono arrivati a considerare colpa grave anche il subire un furto o una rapina se non si è parcheggiato il camion in un’area sicura. Una ragione di più per costruirle

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Ogni anno spariscono un paio di migliaia di veicoli pesanti e, nella stragrande maggioranza dei casi, l’ultimo loro avvistamento avviene in un’area di sosta. Va da sé che se qualcuno ha pensato di trafugare la merce stivata in tali veicoli, evidentemente aveva un valore ragguardevole. Perché altrimenti per quale motivo l’avrebbero dovuta rubare? Il punto allora è questo: quella merce era stata affidata dal proprietario a un vettore affinché la portasse a destinazione. Ma se sparisce chi lo risarcisce?

Se dovesse farlo l’autotrasportatore per l’intero valore della merce nessuno sceglierebbe di fare questo lavoro, perché il rischio di fallire al primo furto subìto sarebbe troppo concreto. Ma siccome il trasporto – checché ne pensi qualcuno – è necessario, già all’epoca della Compagnia delle Indie (in pratica a partire dal 1600), gli Inglesi, interessati a non frenare quei commerci su cui poggiava la loro economia, pensarono di adottare in casi del genere una soluzione forfettaria. Nel senso cioè che il vettore a cui rubavano la merce la ripagava, ma fino a una quota massima prestabilita. Questa antica norma sopravvive ancora oggi ispirando tutte quelle legislazioni nazionali in cui esiste una Convenzione (identificata con l’acronimo CMR) con cui, se un autotrasportatore impegnato in una missione di trasporto in un paese europeo perde anche parzialmente il carico, deve risarcirlo al proprietario pagando al massimo 8,33 DSP (Diritti Speciali di Prelievo, l’unità di conto utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale), corrispondenti a circa 10 euro per ogni chilogrammo di peso lordo.

L’Italia fa eccezione. O meglio, fino al 2005, quando erano in vigore le fantomatiche tariffe a forcella, per i trasporti esclusi da tale vincolo vigeva un limite di risarcimento pari agli attuali 6,20 euro al chilo. Dal 2005, però, il decreto legislativo 286 allunga l’art. 1696 del codice civile con nuovi commi con cui l’asticella della responsabilità vettoriale si ferma a un euro al chilo, salvi i casi di dolo e colpa grave. Dal 2021, peraltro, l’articolo 30 della legge n. 233 estende questo limite a tutte le modalità di trasporto e anche al vettore che si affidi a un trasporto intermodale.

Il boomerang dell’eccessiva tutale

Detto così potrebbe sembrare un vantaggio concesso all’autotrasportatore italiano. In realtà, è stata una disgrazia, giacché questo eccesso di tutela ha finito per penalizzare il vettore. Il perché lo spiega molto bene l’avvocato Massimo Campailla, invitando a fare mente locale al fatto che «quando un giudice appura che il vettore ha una negligenza lo dovrebbe comunque condannare a risarcire qualche decina di migliaia di euro, anche se il carico perduto valeva un milione. A quel punto, di fronte a un soggetto che è comunque responsabile, il giudice si rende conto che non sarebbe giusto lasciare 970 mila euro di danno a carico di chi lo ha subito. E quindi finisce per espandere in modo fino a ieri impossibile il concetto di colpa grave».

Le rapine, per esempio, sono il frutto di tale espansione: fino a qualche anno fa erano considerate un caso fortuito e di conseguenza sollevavano il vettore da ogni responsabilità; oggi sono diventate colpa grave e quindi non sono più coperte dal limite di responsabilità vettoriale. Attraverso quale ragionamento è presto detto: la giurisprudenza di Cassazione guarda al vettore come a un professionista del trasporto e come tale gli impone di organizzarsi. Se quindi è a conoscenza di avere in carico della merce di elevato valore, non può lasciare il veicolo abbandonato, non può arrivare fuori tempo utile per scaricarla e, se ciò dovesse avvenire, non può trascorrere la notte di fronte allo stabilimento di destinazione o comunque in un’area non protetta, a maggior ragione se il contesto territoriale è tradizionalmente a rischio. Se lo fa, accetta il rischio di essere derubato o rapinato, ma se perde tale scommessa non potrà invocare la propria innocenza. Perché – è questo il nucleo del discorso espresso dalla Cassazione – c’è colpa grave ogni qualvolta è possibile presumere e prevedere quanto di fatto è accaduto. Furto e rapina compresa.

Quando si esclude la colpa grave

Per escludere la colpa grave, quindi, non serve sostenere di aver parcheggiato il camion in un’area di servizio autostradale, seppure illuminata e molto frequentata, perché statisticamente è proprio quello il contesto in cui avviene la maggior parte dei furti.

Perché non ci sia colpa grave e quindi per rimanere nei limiti della responsabilità vettoriale – scriveva l’avvocato Barbara Michini su Uomini e Trasporti n. 363 – è necessario che «l’evento appaia non solo improbabile, ma anche imprevedibile, in base a una rigorosa valutazione ex ante e avuto riguardo, trattandosi di vettore professionale, alla diligenza qualificata ex art. 1176 c.c. La colpa dell’autista, quindi, è quella di non aver optato, come avrebbe dovuto, per un luogo sicuro». Vale a dire, per un’area di sosta sicura.

I risvolti assicurativi

Le conseguenze di questo orientamento giurisprudenziale sono onerose per il trasportatore, costretto a costruirsi un ombrello assicurativo puntellato da una doppia polizza: finalizzata, l’una, a coprire la responsabilità vettoriale, l’altra i danni prodotti alla merce del committente. E quindi «per suo conto». E quindi pagando due polizze invece che una. In realtà, parlando con rappresentanti di compagnie di assicurazione, tutti sostengono che la polizza vettoriale ha un’applicazione ridotta, riferita cioè esclusivamente ai casi in cui le merci perse dal vettore siano povere e di valore contenuto. Al contrario, se la merce ha valore particolarmente elevato, a quel punto è il committente a imporre al vettore non soltanto la polizza per conto con la copertura adeguata, ma anche uno standard di servizio molto elevato.

«Se ti proponi per trasportare abiti griffati o prodotti elettronici – spiega Luca Zaratin, consulente legale e assicurativo nel settore autotrasporto merci e delle spedizioni – non ti prendono neppure in considerazione se non accetti di affidare il camion a un doppio autista, di parcheggiare sempre in aree sicure, di utilizzare mezzi frigo al posto dei centinati telonati che sono più facili da tagliare con un semplice taglierino».

Come usare il buon senso

Insomma, tutto dipende da ciò che si trasporta. Se è sabbia si può stare abbastanza sereni e parcheggiare in un’area di servizio autostradale, andare in bagno o a mangiare come si fa normalmente. Se si trasporta merce pregiata, invece, la partita – e ovviamente anche la tariffa di trasporto – cambia e a quel punto è necessario che l’azienda di autotrasporto pianifichi gli spostamenti facendo in modo che il veicolo con la merce non rimanga mai da solo. Poi, aggiunge Zaratin, ci vuole anche buon senso e magari evitare «di sostare nei dintorni del caricatore o del ricevitore, perché i malintenzionati conoscono in quali magazzini sono ritirate o consegnate le merci di maggior valore e sono quindi attratti da veicoli in sosta di notte in aree limitrofe». O, ancora, è sempre opportuno – aggiunge – dotarsi di «antifurti e lucchetti che, seppure rimovibili, aumentano i tempi necessari per le operazioni di scasso».

Ma il consiglio principale, anzi l’obbligo per chi trasporta merci preziose, è quello di parcheggiare in aree sorvegliate e protette. E non soltanto perché la giurisprudenza giudica il non farlo come una colpa grave, ma anche perché le polizze assicurative per conto richiedono sostanzialmente le medesime protezioni. Se andate a scorrere gli articoli del contratto di assicurazione si legge a chiare lettere che il trasportatore che abbia subito un furto può avere diritto a essere risarcito soltanto se il camion sia «sottoposto a sorveglianza ininterrotta» da parte dell’autista o di altra persona, soltanto se lo stesso veicolo «sia custodito in locali con gli accessi sotto controllo o chiusi con mezzi appropriati oppure in aree munite di valide recinzioni e con varchi sotto controllo o chiusi con mezzi appropriati» o soltanto se «sull’autocarro (o sul semirimorchio) sia installato a regola d’arte un apparecchio antifurto certificato».

Traffico e ignoranza: il perimetro dell’imprevedibilità

Se tutto ciò vi fa montare l’ansia, se temete cioè che qualcosa possa comunque sfuggire e che anche la più puntigliosa organizzazione possa in qualche caso vacillare, sappiate che esistono comunque alcune scappatoie e un’eventuale soluzione assicurativa. Le scappatoie si prospettano in tutti quei casi in cui la prevedibilità svanisce e la perdita del carico avvenuta non si sarebbe potuta in alcun modo evitare. Se cioè si arriva allo scarico in ritardo e si trova il magazzino chiuso e subito dopo si subisce un furto, ci si potrebbe salvare provando che l’arrivo a destinazione fuori tempo utile è stato determinato dal traffico intenso o da un incidente. Da due eventi cioè impossibili da prevedere.

Ugualmente utile potrebbe essere la prova che il vettore non avesse contezza del contenuto del carico né idea di quanto potesse valere. Perché a quel punto sarebbe in grado di sostenere che, sapendolo, avrebbe adottato un comportamento maggiormente difensivo. Più in generale, puntualizza l’avvocata Michini, «l’adozione di cautele da parte dell’autista, anche se non contrattualizzate e dovute, resta la forma di tutela più efficace. Tale condotta, infatti, servirà non solo (e non tanto) per andare esenti da ogni addebito di responsabilità, quanto, piuttosto, per argomentare al meglio (davanti un eventuale giudice) di avere fatto il possibile per evitare il danno». Al riguardo Michini ricorda pure che «le misure precauzionali non devono intendersi solo rapportate al luogo di sosta, ma anche ad altri fattori, quali, per esempio, il tempo di durata dell’interruzione del viaggio o le motivazioni che hanno indotto l’autista a fare un’interruzione. Le best practice dettate dalla esperienza di un autista professionista, nella attuale situazione di carenza infrastrutturale di parcheggi idonei , paiono essere un irrinunciabile elemento di tutela».

Sia chiaro, sono elementi di prova da costruire e da proporre per cercare di dimostrare la mancanza della propria colpa. Ma non è detto che funzionino sempre e comunque. Ed ecco perché se non avete voglia di prendere rischi e sapete di trasportare merce costosa, tanto vale sottoscrivere un’estensione della polizza e assicurarsi anche contro le ipotesi di colpa grave. Costerà qualcosa di più – da quantificare in base al fatturato e al tipo di merce trasportata – ma almeno vi aiuterà a dormire sonni tranquilli.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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