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Una logistica low cost è senza futuro

Una domanda che non prende in considerazione qualità e sostenibilità dei servizi, ma considera il prezzo come unico elemento di scelta porterà l’intero sistema ad alimentarsi di squilibri e illegalità. È il punto da cui è partito il confronto tra diversi professionisti del settore. Tra le altre criticità, il gap digitale e formativo, mentre qualcuno propone meccanismi premiali per la committenza che acquista logistica sana. Un dibattito ampio che ha coinvolto tanti, ma non tutti. Mancavano i committenti e il governo. In questo numero colmiamo la prima lacuna, sul prossimo la seconda grazie al contributo del viceministro Edoardo Rixi

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Una logistica low cost è espressione di un sistema low cost. È questo, in sintesi, il punto dal quale è partito il dibattito che durante l’estate si è sviluppato sull’edizione online di Uomini e Trasporti. Un confronto tra diversi professionisti, impegnati a vario titolo nell’autotrasporto e nella logistica. E seppure ognuno esprime visione diversificata delle problematiche, il ritratto del settore è dominato dal massimo ribasso e da una committenza che nella contrattazione tira fuori sempre e comunque i muscoli. Una domanda di servizi di autotrasporto e logistica che di rado guarda alla qualità e alla sostenibilità, per privilegiare invece tariffe basse che assottigliano i margini delle aziende: le più deboli periscono (e non a caso il numero delle piccole aziende da anni si riduce), mentre le altre inseguono vari metodi per rimanere a galla, spesso in equilibrio nella zona grigia che confina con l’illegalità.

«O cambiamo la logistica. O muore quella onesta». Massimo Marciani,
Presidente del Freight Leaders Council

«La qualità dell’offerta logistica è direttamente proporzionale alla qualità della domanda – ha scritto Massimo Marciani, presidente del Freight Leaders Council e di FIT Consulting – Se la committenza chiede puntualità, tracciabilità e sostenibilità, il mercato risponde. Se l’unico criterio è il prezzo più basso, si avvia un processo di erosione che colpisce tutti: operatori, lavoratori, comunità». Secondo Marciani «nel breve termine, tagliare i costi logistici può sembrare una scelta efficace. Ma sul lungo periodo, il prezzo lo paga l’intero sistema-Paese: meno sicurezza, meno investimenti, meno innovazione».

E se il fornitore proponesse qualcosa di diverso?

Un’analisi che ha trovato condivisione. «A partire dai primi anni Duemila – ha scritto Claudio Donati, segretario generale di Assotir – l’autotrasporto ha iniziato a perdere ruolo e peso, pagandone un prezzo salatissimo anche sul piano squisitamente commerciale». Donati punta il dito contro la divaricazione estrema che da una parte vede la formazione di grandi colossi della logistica e dall’altra trasportatori che «rischiano di diventare meri esecutori di ordini». Anche Pietro Spirito, docente e manager nel settore dei trasporti e della logistica, parla di una «trasformazione profonda nei rapporti tra gli operatori logistici e la committenza» che porterebbe verso una logistica estrattiva «in cui prevale la massimizzazione del profitto nel breve termine, piuttosto che la costituzione di ecosistemi resilienti e sostenibili».

«Subito il principio di proporzionalità per non diventare meri esecutori di ordini». Claudio Donati, Segretario generale di Assotir

«Una continua rincorsa al massimo ribasso» è l’ammissione di Umberto Ruggerone, presidente di Assologistica, mentre Donatella Rampinelli, esperta di logistica collaborativa con una lunga carriera nel settore, punta il dito contro i tender, definendoli «un gioco al massacro», specialmente quando sono gestiti da consulenti (anche qui per mancanza di cultura). Ma se la domanda è low cost, con tariffe ridotte all’osso, c’è chi vorrebbe una presa di posizione netta da parte dei fornitori.

«Se vogliamo ottenere risultati diversi, dobbiamo fare cose diverse» – scrive Alessandro Peron, Segretario generale di FiapContinuare a dare la colpa agli altri non serve a nulla. Si rischia di cadere nella trappola della lamentela cronica, spostando sempre il problema. La verità è che ogni imprenditore è artefice del proprio successo. Decide lui come farsi trattare da clienti, fornitori e collaboratori. Decide lui se accettare o meno le regole del mercato». Insomma, un’iniezione di cultura imprenditoriale (e di orgoglio settoriale) per cominciare a contare di più, condiviso anche da Rampinelli che invita gli imprenditori a sperimentare la logistica collaborativa, anche se i tempi sembrano poco maturi: «Ho cercato con grande determinazione di portare anche i miei operatori logistici a collaborare – scrive – creando società di rete, ma non è stato semplice. Perché ognuno vuol fare da solo e non si fida degli altri».

Controlli cercasi

Dal dibattito emergono poi alcune criticità che da (molto) tempo caratterizzano il settore, come per esempio il tema dei controlli. «Come mai – chiede Natalino Mori, numero uno di Transadriatico e vicepresidente FAI – fra le centinaia di incidenti mortali e gravi per i quali la normativa prevede l’indagine presso il committente per verificare le condizioni del trasporto, non esistono casi di aziende manifatturiere e di subcommittenti indagati, sanzionati o invitati a produrre documenti?».

Una situazione che si riversa sull’intero sistema rendendolo meno sicuro. «I trasporti sono, assieme al magazzinaggio – ricorda Spirito – al secondo posto per infortuni mortali nel 2023: 109 casi registrati». Non solo, ma portando le aziende a collezionare gap di formazione e di digitalizzazione che le rende meno attrattive per la forza lavoro con la conseguenza che il mismatch tra richiesta di manodopera e offerta si allarga.

Suggerimenti sul come investire

Diverse le soluzioni emerse dal dibattito. Inizierei dall’intervento di Tommaso Magistrali, responsabile del mercato dell’Europa occidentale di Timocom, che ha consigliato una serie di azioni da non fare nella logistica. Tra queste, non investire in formazione e tecnologia: gli esperti sentono che questi gap stanno crescendo e che il settore deve correre. «Oggi di fondamentale importanza – scrive Magistrali – che in ogni azienda di trasporti ci siano persone digitally fit, ossia in possesso delle adeguate competenze digitali». Un’altra questione sollevata da Magistrali, ma anche da altri, è la piaga dell’ex works, ovvero della tendenza delle aziende italiane di vendere franco fabbrica, delegando a chi compra la scelta del vettore per il trasporto che, in caso di export, la maggior parte delle volte è straniero.

La mancata specializzazione nel trasporto internazionale degli operatori italiani pesa sul loro sviluppo. Uno sviluppo che potrebbe passare per consorzi e cooperative per «rafforzare il potere contrattuale» suggerisce Spirito, mentre Donati ritorna sul tema del principio di proporzionalità del numero di veicoli e di addetti rispetto al fatturato che andrebbe introdotto anche in Italia per contrastare la tendenza oligopolistica e la proliferazione dei subappalti (intesi come passaggi che riducono i margini). Anche Marciani chiede «una norma che impedisca a chi ha un solo cliente di rimane subalterno a tempo indeterminato », mentre Mori propone il sostegno a reti e fusioni di imprese. La domanda sorge spontanea: come procedere e chi deve agire? Per alcuni la sede naturale per l’evoluzione del settore è l’Albo dell’Autotrasporto. In particolare, è Mori a ricordare che è questa la casa comune. Mentre tra le strategie da attuare emerge la certificazione intesa come garanzia di correttezza per le imprese fornitrici, ma anche la possibilità di creare un nuovo modello di ridistribuzione degli incentivi che prenda in considerazione anche la domanda di logistica, premiando quella sana.

Questo articolo fa parte del numero di settembre/ottobre 2025 di Uomini e Trasporti: un numero che racchiude un ampio dibattito sul futuro del settore, animato da tanti osservatori e da tanti lettori.

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