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La Brexit nel trasporto: le risposte ai principali dubbi

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In vista della Brexit come devono muoversi le società di autotrasporto che gestiscono viaggi da e per la Gran Bretagna? I contratti in essere con i clienti inglesi restano validi o perderanno efficacia? Chi si farà carico degli eventuali maggiori costi doganali? A quali nuove responsabilità andremo incontro o a quali rischi? Sono solo alcune delle domande che sono arrivate in redazione in questo ultimi giorni sovraccarichi di incertezza, in vista della scadena del 29 marzo.
Quesiti che abbiamo girato all’avvocatessa Barbara Michini, senior partner dello Studio Legale Zunarelli.

In assenza di un accordo sul periodo transitorio, il prossimo 30 marzo il Regno Unito sarà fuori dall’Unione Europea, assumendo lo status di Paese Terzo e ciò potrebbe comportare una destabilizzazione del commercio europeo, che si rifletterà anche su quel segmento dell’autotrasporto italiano che gestisce flussi di traffico da e per la Gran Bretagna.

Da un punto di vista generale, i contratti in essere con i clienti oltremanica potrebbero subire contraccolpi a seguito del diverso scenario doganale e tariffario, con la conseguenza che la volontà negoziale delle parti dovrebbe essere rinnovata e adeguata, quanto meno con appendici. I cambiamenti potrebbero riguardare, per esempio, la gestione dei dati sensibili della privacy (si pensi alla questione della geolocalizzazione dei mezzi), la previsione di dazi doganali, l’introduzione di nuovi sistemi di controllo alla frontiera, l’imposizione di nuove norme autorizzative per l’esercizio dell’autotrasporto, anche con riferimento al cabotaggio internazionale.

In questa fase di incertezza sulle future evoluzioni della Brexit (sarà hard o soft?), le imprese devono programmare un piano d’azione o, quanto meno, essere consapevoli dei futuri scenari.

Il quesito, quindi, è sintomatico di quella cultura dell’autotrasporto che sempre di più contraddistingue quegli operatori del settore in grado di fornire servizi con professionalità e attenzione alla legalità e di contribuire allo sviluppo di un mercato competitivo e di qualità. La cultura della prevenzione, in un’ottica di risk management a cui sempre di più le aziende sono chiamate a prestare attenzione, è un valore aggiunto di indubbia rilevanza commerciale.

Cosa devono fare dunque le aziende di trasporto? Sicuramente è consigliabile una attività di restyling dei contratti in essere per analizzare quelle clausole bisognose di revisione in vista della Brexit; il tariffario attualmente in vigore, infatti, potrebbe necessitare di un adattamento, in vista dei maggiori costi dei servizi; così come potrebbe essere opportuna una ridistribuzione delle responsabilità per quanto riguarda i controlli di frontiera, in modo da non trovarsi esposti a rischi di fermi di mezzi di personale in caso di ritardi o di blocchi di carico imposti dalle autorità doganali.

La validità dei contratti, dunque, non è travolta, ma va posta in essere una scrupolosa attività di revisione, per individuare ciò che sarà da integrare (la privacy) o da modificare (le tariffe). Diverso è il caso di trattative negoziali non ancora perfezionate in contratti: in tal caso è conveniente stabilire, vista l’attuale incertezza, una clausola di way out che consenta il recesso delle parti con congruo preavviso e lo scioglimento del vincolo contrattuale in previsione di determinate future circostanze. È possibile minimizzare il rischio di un impatto negativo della Brexit inserendo in contratto clausole di forza maggiore che attribuiscano al fornitore la possibilità di recedere dai contratti al verificarsi di specifici eventi che sfavoriscano il business originariamente intrapreso.

Una possibilità di ordine pratico, ma probabilmente non soddisfacente in termini di pianificazione commerciale, potrebbe essere quella di stipulare contratti occasionali («spot»), in attesa che la situazione acquisti contorni più delineati entro i quali poter programmare, con maggiore cognizione di dati, costi e benefici dell’attività.

È da precisare, da un punto di vista giuridico, che l’impatto della Brexit sui contratti non dovrebbe creare sconvolgimenti, in quanto nell’ordinamento anglosassone, basato sul common law, il principio della libertà contrattualefreedom of contract»), ispira la prassi contrattuale delle parti, lasciando ampio margine d’azione alle trattative commerciali.

In conclusione, considerato che le domande dei lettori sono destinata a rimanere, al momento, senza risposta, è possibile però individuare tre linee guida d’azione:

evitare di sottoscrivere contratti blindati e senza vie di fuga necessarie nel caso in cui l’andamento delle negoziazioni tra UE e Regno Unito fosse tale da far ritenere opportuno porre termine a un contratto destinato a non essere più vantaggioso, in termini di costo, di investimenti e di rischi;

evitare di stipulare, senza garanzie, contratti con nuove entità di diritto italiano costituite dalle case madri inglesi;

prevedere sin da ora appendici di revisione contrattuale, in quanto le numerose incertezze sul futuro impongono di adottare cautela e prudenza nella contrattazione futura.

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