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La lunga corsa dei caschi da moto | #cosedifiliera

Integrale, jet o demi jet, apribile, cross o crossover, sono solo alcuni esempi. Utilizzati per andare in moto, in bicicletta, per sciare, ma anche per lavorare. I caschi sono di diversi tipi, votati ad altrettanti diversi utilizzi, non solo nel tempo libero e nello sport ma anche in parecchie attività lavorative. Quello che li accomuna tutti è che scendono in campo (o, meglio, sarebbe da dire, salgono in testa) quando è a rischio l’incolumità – la sicurezza – della persona. Sono dei dispositivi di sicurezza molto importanti, tant’è che in molti casi dispongono di una “omologazione europea” che ne certifica la validità. Nel nostro Paese si producono ogni anno diverse migliaia di caschi, molti destinati all’esportazione, per la realizzazione dei quali vengono utilizzate anche particolari resine per garantirne qualità e robustezza. Prodotti chimici che raggiungono i siti produttivi all’interno di cisterne dedicate, come quelle che la Conap di Fiorenzuola d’Arda, nel piacentino, mette a disposizione per questo tipo di trasporto

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I più famosi sono quelli di Valentino Rossi, con il numero 46, impreziositi da disegni che il grande campione crea, per ogni nuova stagione, con il grafico Aldo Drudi, battezzandoli con nomi che sono diventati leggenda: Rossifumi, Valentinik, The Doctor. Al punto da meritare una pubblicazione periodica, con modellino in scala 1:5 per ciascun numero, che ha spopolato tra i fan. Ma anche i caschi non da gara, quelli per chi usa le due ruote a motore per spostarsi in città o quelle – più potenti – per godersi una bella passeggiata su un itinerario tortuoso, vanno alla grande. Dati certi non ce ne sono: le case – almeno quelle non quotate in Borsa – mostrano una certa reticenza a rilasciarne. Ma è certo che l’industria italiana del settore tira. La bergamasca Nolan, a Brembate di Sopra, è il maggior operatore europeo: produce 400 mila pezzi l’anno e il 70% lo manda all’estero. In 45 anni di attività ne ha venduti 30 milioni in 80 paesi del mondo e ha vinto 54 titoli mondiali.

L’Italia dei caschi

Bergamo è una specie di distretto della produzione di caschi da moto: a due chilometri dalla Nolan, ad Almeno San Bartolomeo, c’è la Airoh, specializzata per quelli da motocross. Proprio a Bergamo, poi, ha sede la Caberg, nome formato dalle prime lettere di «caschi» e «Bergamo», appunto. Un po’ più lontano, a Flero, nel Bresciano, c’è la Givi, dal 2001 nei caschi con un progetto di alta sicurezza, e a Milano la Tucano Urbano, uno dei brand preferiti dagli scooteristi da città. Ma bisogna andare in Piemonte dalle parti di Valenza, a Calcereda, per trovare la più antica fabbrica italiana di caschi da moto: la AGV, fondata nel 1947, da Gino Amisano, le cui iniziali insieme a quelle della città compaiono nella sigla. È probabilmente il marchio più prestigioso per lo sport motociclistico italiano: è dai suoi laboratori che uscivano i caschi di Giacomo Agostini (un record i suoi 15 titoli mondiali conquistati tra gli anni Sessanta e Settanta) ed escono oggi quelli di Valentino Rossi.

L’importanza delle resine

È a queste aziende che arrivano ogni giorno centinaia di migliaia di tonnellate di resine sintetiche. Perché i caschi da moto – integrali, apribili o modulari, jet, crossover – sono tutti realizzati con materie plastiche ricavate grazie alle resine. Nei caschi, ovviamente, la resistenza è la qualità più importante e apprezzata e quelli in fibra (i policarbonati e gli ABS (che sta per Acrilonitrile butadiene stirene, un polimero termoplastico molto resistente) sono prodotti impregnando con resina indurente la struttura portante. Se la fibra è quella normale di vetro si ha un casco più pesante e meno resistente, se si utilizzano invece le fibre multiassiali, rinforzandole con carbonio o aramidica (in altre parole, il kevlar) si avranno invece caschi meno pesanti e più resistenti. Il risultato ottimale lo si raggiunge utilizzando fibre di carbonio – tanti fili lunghi e sottili di atomi di carbonio intrecciati fra loro – impregnate con resine epossidiche. La produzione avviene con stampi a caldo secondo un procedimento riconosciuto in tutto il mondo come Made in Italy (ma anche Made in England).

Le cisterne della CONAP

Ma perché questi materiali siano efficaci è necessario che arrivino in fabbrica nelle condizioni in cui sono usciti dall’industria chimica, senza subire variazioni di temperatura (perché le resine, che sono particolarmente viscose, tendono a indurirsi al freddo) e senza venire a contatto con elementi estranei che ne potrebbero inficiare la purezza. Dunque sono necessarie attrezzature particolari e grande cura soprattutto al momento dello scarico. Per questo di trasporto estremamente specialistico, la Conap di Piacenza ha una trentina di cisterne coibentate, dotate di pompe antideflagranti certificate. «Si tratta di strumentazioni non sempre disponibili allo scarico», sottolinea Vania Dordoni, direttore commerciale del consorzio, «che costituisce un servizio ulteriore fornito al cliente che così non è costretto a dotarsi di questo tipo di attrezzatura».

«Ogni veicolo della Conap è capace di 27-28 tonnellate di materiale», aggiunge il presidente, Claudio Villa, «e ogni giorno, per trasportare resine, dalla nostra sede partono sei-sette mezzi, per parlare solo di quelli diretti in Italia». Il che vuol dire poco meno di 200 tonnellate al giorno. Poi ci sono i viaggi all’estero, dove la capacità di carico è ridotta a 24 tonnellate, dal momento che il peso totale a terra consentito è di 40 tonnellate contro i 44 dell’Italia. E alla fine di ogni viaggio e prima di partire per un altro, ogni cisterna viene bonificata o in azienda o presso stazioni di lavaggio, comunque con procedure anch’esse certificate.

Il segnale della ripresa

Un’attività intensa e accurata che la stessa pandemia ha modificato, ma non rallentato. Da una parte, infatti, le difficoltà di circolazione oltre frontiera, durante i lockdown, hanno limitato i viaggi internazionali, ma hanno aumentato quelli interni per l’incremento di una domanda che non riusciva a trovare né forniture, né mercati negli altri Paesi. Dall’altra, proprio il grande impiego delle plastiche – e dunque delle resine – anche nei materiali medicali (si pensi alle sole sacche per le flebo) ha compensato il calo del trasporto di carburanti crollato nei giorni del blocco della circolazione.
Anche le moto, naturalmente, hanno circolato di meno, ma da loro è partito il primo segnale di ripresa: nel 3° trimestre del 2020 ne sono state vendute il 41,3% in più del trimestre precedente, trainando anche il mercato dei caschi. E il trasporto delle resine necessarie per realizzarli.

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